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TUTTI CONTRO NOI INSEGNANTI, DISCONOSCIUTI MINATORI |
Tutti contro noi insegnanti, disconosciuti minatori (Lettera aperta al Sig. Presidente Mario Monti)
Dalla mia esperienza, tra l’altro, ho capito che il rapporto educativo non è una questione di quantità di ore ma di qualità delle ore trascorse con i giovani che dovranno salire, da attori professionisti e non da guitti, sul palcoscenico del futuro di questa nostra Italia. Insegnare significa passare ai giovani, alle nuove generazioni il testimone delle conoscenze sedimentatesi nel tempo e attivare un processo di feedback tendente a suscitare la nascita di un pensiero nuovo, diverso, più libero per renderli capaci di “adeguarsi ad un mondo più moderno” in continua e costante evoluzione.
Dare forma a una personalità non è come assemblare un frigorifero, modellare una macchina, premere il tasto di un computer o sbrigare una pratica d’ufficio ma dare ad ogni ragazzo, ad ogni giovane consapevolezza di se stesso e delle proprie capacità. Seguendo l’intervento televisivo, l’impressione iniziale è diventata, pian piano, una certezza che anche lei, presidente Monti, non si rende conto della grande responsabilità cui siamo chiamati, noi insegnanti, nonostante il frustante “immaginario collettivo” di casta privilegiata e sfaticata costruito dai mass media cui lei ha contribuito e avallato con il suo intervento.
Il nostro lavoro, silenzioso e nascosto si scontra continuamente con quello rumoroso e appariscente dei politicanti, dei soloni, dei saccenti di questa Italia contemporanea, ma le ricchezze, quelle vere sono quasi sempre tutte nascoste nel profondo silenzio delle miniere del cervello e delle fantasie dei giovani. Solo noi, purtroppo, sappiamo quanto è faticoso vestire ogni giorno gli abiti da minatore per portare alla luce le ricchezze nascoste nei giovani e quanto questo compito sia arduo, difficile e, spesso, frustrante e non giustamente valutato dalla politica e dai pedagopolitici che, pro tempore, reggono l’istituto della Pubblica Istruzione e non sono mai entrati, come insegnanti, in una classe di scuola media. Ma questa frustrazione non è congenita nella professione docente ma indotta dal disconoscimento del lavoro e dei valori che porta, tanto che noi insegnanti, sig. Presidente, in una società fondata sulla finanza siamo considerati corporativi, arretrati e improduttivi, come lei ha voluto pubblicamente sottolineare affermando che “nella sfera del personale della scuola abbiamo riscontrato anche un grande spirito conservatore, come per esempio la grande indisponibilità a fare due ore in più a settimana che avrebbe significato più didattica e cultura”. Ma questa società ha altri modelli educativi e altre agenzie formative tanto che noi non ci sentiamo più cittadini di uno stato che ci colpevolizza continuamente, come lei ha fatto con il suo intervento senza contraddittorio.
Spessissimo, come purtroppo ha fatto anche lei sig. Presidente del Consiglio, il nostro lavoro viene smantellato e disprezzato proprio da chi dovrebbe averne massima considerazione, ed è lì il senso di mortificazione nel cercare continuamente di costruire e ricostruire, con grande fatica, ciò che altri, come lei, demoliscono con estrema facilità. Ma si sa che demolire è più facile che mantenere e consolidare valori selezionati dalla fatica del pensiero e sedimentatisi, col tempo, nel cuore della società.
La scuola, come ripeteva un vecchio preside all’inizio della mia carriera, è la nostra miniera da cui estrarre intelligenze per la Nazione con il fare da minatori o un pozzo da cui far zampillare cultura operando ricerche e perforazioni mirate tra gli allievi. Noi insegnanti non siamo né economisti nè finanzieri né banchieri ma minatori che educano i giovani alla formazione di un pensiero capace di smuovere la materia cioè, per dirlo con le parole di Virgilio lavoratori addetti a fare in modo che “mens agitat molem”.
Ma questo lavoro non è misurabile con la quantità di ore d’insegnamento ma con la qualità del servizio che la scuola non offre, certamente non per colpa degli insegnanti, ancora una volta messi, ingiustamente, sul banco degli imputati.
Elio Fragassi