Farindola:
elementi di storia
Vincenzo Barbieri |
II. — Il Presente
1. Una premessa—Movente dello scritto—La Rupe Tarpea—Le ritrattazioni.
2.
Il
Cesareo governo—L'amministrazione purgata ed ordinata—I traffici alle
spalle del Comune—Cause delle sue miserie—La strada—Motivi perchè non è finita e
lettere a giustificazione—Debito Caponetti al 24 p. 0[0—Eredità
della passata amministrazione—L. 30 mila sfumate—Prestito di L. 50
mila—Arredamento delle scuole e dello ufficio —Impianto della farmacia—Servizio
sanitario.
3. Pretese ingiuste—Tre cassieri in un anno—L. 13 mila di deficit—Monte frumentario—Crediti ipotecati per L. 30.150—Movente degli strilli—Monte pecuniario—Congrega di Carità—Benefici usurpati—Rendite patrimoniali—La terraggiera—Leggi eversive del 1806—Necessità di abolirle—Le usurpazioni—Causa al confine di Bacucco—Proposta di transazione—Ragioni dì accoglierla—Usurpazione Celiera—Contesa Forcella—Sparizione dei documenti—Il bosco—Sconvenienza di lasciare i boschi ai Corpi morali—Piaga di Farindola—Effetti economici e morali—I diritti politici in balia de’ boschi—La miseria nei monti—La devastazione—I carbonai—Le guardie—I rimedi
4. Le finanze—Condizione spaventevole—Nuove risorse—Requisiti per crearle—Latteria sociale—Dissesto finanziario presente—Modo di rimediarvi—Sproporzionalità di pesi–Progetto di maggior debito a più lunga scadenza–Le teorie male applicate–Libertà non licenza–Fisonomia di Farindola–Le classi del paese; loro indole e tendenze–Altro motivo degli strilli–Il partito caduto ha finito–Avvenire di Farindola–Invocazione.
Non mi fu dato trovare l'etimologia della parola « Farindola »; eppure non v'è zolla in Italia senza fasti, senza gloria.
Quando mi sento raccontare di un bugigattolo comunale, ripieno di antiche carte, insaccate in qualche modo, le quali, un po alla volta, si somministravano, per senso di beneficio, al tabaccajo del luogo, finchè un bel dì venuto questi in urto alla potestà del paese, del residuo se ne fece un falò in mezzo alla piazza, affé che sento i brividi pensando quanto tesoro storico potevano contenere quelle vecchie scritture.
Oramai è recriminazione inutile, e doloroso il
triste ricordo di simili gesta in gran parte
de' nostri rustici Comuni. Fatto sta che, pur Farindola[1]
nulla possiede che
possa dar
lume allo
storico nella ricerca dell'origine,
del suo nome, de' suoi fasti.
Barbarità italica!
Nullameno se dai pochi
ruderi rimasti, dalle disposizioni
del territorio e dalle condizioni orografiche e
topografiche si volesse congetturare sarei tratto a
dire che l'agro dì Farindola non dev'essere
senza storia.
Che anzi apparisce sia stato un luogo
fortificato dalla natura, un posto
strategico d'importanza alla difesa di Roma.
E poichè passano i secoli, ma i luoghi restano e le lotte non finiscono, così mi sembra che l'oscura Farindola sia predestinata a restare punto formidabile, meritevole di studio dagli uomini di guerra, rivolti a provvedere alla sicurezza della patria. Che ciò sia, eccolo in breve.
Gli avanzi di due antichi torri nell'abitato, di un castello nel culmine del paese, da dove si domina la valle del Tavo, spaziando l'orizzonte fino al mare, non sono al certo senza significato.
Più in là del paese, su balze, dove non potevano salirvi neppure i lupi, si riscontrano avanzi di casaleni (che diedero al luogo il nome di contrada casaleno) da dove si domina tutto il versante del basso apennino sino al mare, comprendente il territorio di Bacucco, Penne, Montebello e giù fino all'Adriatico, onde da quell'altipiano qualunque esercito sarebbe scorto al suo primo apparire sulla costa, senza poter nascondere le mosse; il che indica che pur questa località non è senza valore storico e strategico. Più in là ancora e proprio sulla vetta di Sciella, varco frequentato dell'Apennino, riscontransi altri avanzi di luogo anticamente abitato, con scavo di cisterna, detto perciò passo della cisterna.
Di sotto alla vetta di Sciella, sul versante di Aquila si distende l'immensa landa, circondata da contraforti naturali, detta Campo Imperatore, (in vernacolo Campradura) dove un esercito raccolto, come in fortezza naturale, potrebbe piombare inaspettatamente su Roma, oppure portarsi, colla rapidità del fulmine, sull'una e l'altra costa del Tirreno e dell'Adriatico.
E quando si rimarchi che i luoghi indicati sono a vista fra loro da stabilire una comunicazione semaforica, l'assieme pare vi dica che Farindola sia stata e possa essere ancora la vigile sentinella fra i due mari e Roma; ed il Campo Imperatore il corpo di guardia inespugnabile, nascosto nel centro a difesa di Roma l'eterna capitale.
Infatti, racconta Plinio che qui si raccolsero le schiere dei Vestini che piombarono su Roma a difenderla dall’assedio, onde la città dei Vestini (Penne), estesa e potente, ebbe, da Roma dominatrice, privilegi e doni [2].
Peccato che posizione cosi forte non sia stata finora esplorata a fine strategico militare, od almeno a scopo economico per l'incremento della ricchezza nazionale; tanto più che la traversata di Sciella è la più breve dell'Apennino fra i due mari e Roma; e tanto più ancora che i due versanti son ricchi di prodotti d'ogni sorta.
Laonde, allorché sostegno
che fra non molto lo stridulo fischio della vaporiera
economica
rallegrerà questi luoghi,
proveniente dal mare,
solcando Penne,
Farindola, Sciella, Santo Stefano, per
congiungersi a Paganica alla linea di Roma, mi pare di non farla da profeta,
perché i luoghi e le condizioni parlano da sé.
Molto più che, oltre dei
benefici che può rendere siffatta linea
per la sua brevità
e sicurezza
in tempo di guerra,
sarebbe l’arteria naturale
allo sviluppo
economico di questi luoghi in tempo di
pace, e veicolo importante per Roma di
prodotti agricoli ed industriali. Senza dire delle industrie che promuoverebbe;
così quella del legname pei boschi che
traverserebbe; quelle del caseificio
[3]e del bestiame proprie dei luoghi
per dove passa, le quali basterebbero ad alimentarla, senz’anche il concorso
naturale del commercio e delle industrie
dei ricchi territori di Collecorvino, Loreto, Picciano, Penne.
Anzi mi sembra che una ferrovia economica pei luoghi indicati sia
chiamata dalla natura dei luoghi stessi, avendola perfino provvista del
combustibile mercè di una ricca miniera di litantrace[4]posta sulla via che deve
percorrere.
Farò sosta sulla tesi per non varcare i limiti impostimi, lieto che
l’occasione mi dia di spargere le
prime idee di un alto concetto che, fecondato
da robusti ingegni, sia esca di bene e di prosperità al paese.
La ricchezza di Farindola fu mai sempre,
fino ai moderni tempi, il bosco. Il quale comprendeva in circa 2/3 dell’intiero
territorio. La proprietà era ristretta e
molto frazionata, come lo è ancora.
Il bosco, dalle cimate del monte si estendeva fin sotto l’abitato.
Conteneva ogni qualità di legname.
L’essenza principale fu
sempre il faggio, ma abbondavano le
quercie, il noce e le piante da frutta. Era un bosco secolare con alberi di
sterminata altezza e grossezza.
L’industria era, a que’ tempi, l’allevamento dei majali che trovavano
nel bosco nutrimento libero e duraturo .
Il prodotto dei frutti nel
bosco, specie le noci, si appaltava ogni anno, e formava un cespite di entrata
ordinaria.
Da quanto si rileva dagli stati discussi del Comune, il bosco doveva
avere un valore capitale di non meno di L. 100
mila di soprassuolo.
Farindola era uno dei Comuni ricchi del Circondario e faceva prestiti
agli altri Comuni. Con tanta
estensione di patrimonio boschivo, con tanti pascoli, e coll’estesa industria
degli animali, in tempi di tasse minime e di bisogni ristretti, non poteva
a meno di essere Comune
agiato.
Non fu mai paese colto, perché era popolo di bosco; discendeva da
mandriani e mandriani lo furono fino all’avvicinarsi dei tempi moderni.
Aveva però grido di popolo
onesto e laborioso.
Non v'era in esso indizio dì civiltà, come negli altri Comuni limitrofi; nè fu mai culla di persona colta; ma tutti vivevano, e tutto procedeva come ai tempi adamitici.
Ciò nullameno finchè durò il governo despota che teneva a rispetto i Comuni, Farindola continuò nella vita onesta, rispettando se stessa. Subentrata la libertà andò tutto a precipizio; tanto che, pur restando qual era in fatto di opere pubbliche, d'istruzione, di sviluppo economico, decadde all'estremo opposto della massima indigenza.
In breve tutto sparì. Crediti, agiatezza, industrie, quiete restarono memorie del passato. La maestosa selva sparì del pari, senza lasciare traccia di profitto. Subentrò la gara a chi più poteva spogliare. Presero piede di conseguenza le rapine, le congiure, il mal governo a far desiderare il passato, a far deplorare il presente di cui, a fine di bene, intendo parlare.
IL
PRESENTE
1.
Ma lasciando la personalità e le scurrilità dello scritto che lo discreditano, chiariamo innanzi tutto un fatto.
Perchè questo novello assalto, perchè la vostra repentina conversione ?
Se è supremo vostro spirito il bene del paese, lasciamo le iperboli, i riboboli, le espressioni vaghe, irritanti, le insinuazioni colpevoli e parliamo con sodezza e serietà. Non foste voi il primo a portare il generoso tributo al nuovo ordine di cose in Farindola? Tributo amorevole e sapiente, perchè dicevate, ed a ragione, che era tempo di finirla con tanto disordine, con tante furfanterie, con tanti malanni.
Invero qual più disgraziato paese, in preda alle prepotenze, ai ladroneggi, alle congiure, dove tutto fioriva, fuorchè il bene pubblico? Era un disordine in tutto, una conflagrazione generale, materiale e morale che al confronto una casa diruta formava l'emblema dell'ordine. Tanto che neppure l'autorità sapeva trovar modo di sortirne ed a chi affidare le redini amministrative, anche temporariamente pur di frenare il disordine.
Ora come si spiega l'accennata vostra conversione, l'essere ritornato di botto fra coloro che voi stesso denunziaste alla pubblica riprovazione, quali autori del male, cause di tante rovine ?
Per non dirsi effetto di un sussulto peristaltico, bisogna cercare la causa. Fuvvi mai urto tra voi, la amministrazione od il capo di essa ? Direste una bugia affermando, perchè a tutti è nota la perfetta concordia, la reciproca stima, la famigliare convivenza che regnava.
Urto, se tale può dirsi, fu quello unicamente di avere il Consiglio negata la domanda di L. 400. Non cerchiamo se a ragione od a torto; anzi diamogli torto addirittura; ma per così poco era serio e sodo di rompere bruscamente le buone relazioni, ammainare le vele, e voltarvi contro, senza dar tempo al tempo, senza chiedere spiegazioni, tentar accordi, come si usa fra persone di stima e di carattere?
Voi dite nel pseudonimo scritto che teneste fermo fino al punto che vedeste "con raccapriccio riaccendersi i roghi, ripiantarsi la ghigliottina, ecc. sotto il «Cesareo governo » Scusate. Sbagliate data. Teneste fermo fino alla domenica che il Consiglio negò le 400 lire; poichè giorni prima fummo insieme, nessuno screzio vi era e nessuno sognava i roghi e la ghigliottina. Fu in quel giorno che, come fulmine in ciel sereno, mandaste il messaggiero, subito dopo la seduta del Consiglio, ad avvertire del guanto di sfida, che dicevate d'aver raccolto.
Ciò però poco conta, avvegnachè sia la fermezza del vostro carattere proverbiale, da non mettersi in dubbio.
Quello che interessa è di provarvi che cadeste in errore,
qualificando, me misero, di Cesareo governo.
Anzi, se l'amor proprio non mi fa velo all' intelletto, parmi che mal diceste asserendo che fu governo di nessun bene al paese, ed accusandomi con 17 capi infondati, come m'accingo a provarvi.
Prima però lasciate che vi dica due parole alla sfuggita sull'aureo scritto della Rupe Tarpea ; lavoro di animo turpe, in cuore turpissimo. Così lo chiamo, perchè non acquista ragione di farsi ascoltare, ne giustifica se stesso, la propria onestà e pulitezza chi assale con linguaggio da trivio, con contumelie, con maldicenze, insinuazioni sporche, accuse generiche.
Che non meritasse la risposta quell'aureo scritto, ammantato financo della viltà del pseudonimo, lo prova la ritrattazione che trascrivo letteralmente :
“Per la pura verità e per dovere di coscienza dichiaro che tutto ciò che fu detto nell'opuscolo, la Rupe Tarpea, stampato in Teramo da' Tipi Marsilii sotto il nome di Domenico Cirritella Guarda boschi, contro l'onorabilità del Sig. Ingegnere Vincenzo Barbieri, fu effetto di uno sdegno esagerato in maniera da svisare i fatti, e specialmente nell’ultimo articolo intitolato Fine tragica”.
“ Aggiungo che avendo avuto nelle mani le prove contrarie dei fatti allegati,mi faccio dovere dichiararli inesatti, come pure inesatte le interpretazioni date alle lettere in detto opuscolo indicate, le quali appariscono di altro valore dall'essersi considerate in brani staccati ed isolatamente, non in relazione alle vere circostanze di fatto”.
Mi compiaccio in ultimo dichiarare che la mia famiglia ebbe sempre in pregio l'amicizia di lui.
Farindola 23 settembre 1885.
Firmato : Antonio Arc. Basilicati “
Se del pari non risposi ad altri ingiuriosi scritti, comparsi nella Provincia (giornale) del passato anno, [5]non e d'ascrivere a timidezza, ma al fatto della seguente ritrattazione che fece cadere la data querela :
“Sig. Vincenzo Barbieri
Sindaco di Farindola.
“Dichiaro io sottoscritto alla S. V. che le corrispondenze in data Farindola due Marzo e nove detto del corrente anno pubblicate nel giornale La Provincia di Teramo, al numero 10 ed 11, le scrissi in momento d'ira.
Le rilascio la presente dichiarazione amichevole senza però che dopo averla accettata se ne possa valere per pubblicarla - Con piena osservanza”.
“Penne 11 Giugno 1887.
Di Lei devotissimo
Firmato: Giuseppe
Valentini”
Che se poi agli ultimi scritti, collo stesso pseudonimo, in cui vi siete male coperto, io non risponda alla parte criminabile, è perchè, a mia vece, vi risponderà la giustizia, e questa volta senza indulgenza; serbandomi rispondere alla parte che interessa il paese, al solo fine, ripeto, di far bene al paese.
Entrando in materia, voi dunque dite che il mio Cesareo governo, non produsse alcun bene.—Vediamolo.
Non è un bene che siasi purgata almeno l'Amministrazione ? Non è un bene inestimabile il poter dire e sostenere adesso che “è guarita la magagna perchè è finita la Cuccagna ? “
Non era questo il voto più fervente del vostro animo onesto e pietoso ?
Conciossiachè, chiacchere son chiacchere, calunnie ed ingiurie si ponno dire a josa; insinuazioni farne a dovizia, secondo l'animo triste e sporco di chi le fa; ma negare che l'Amministrazione attuale sia onesta, dire e provare che in essa si ruba, come per lo passato, questo poi no; tanto che neppur voi osaste dirlo nel pseudonimo scritto, fra tante accuse. Qual prova dunque più splendente dell'onesta Amministrazione? E vi pare poco! Non era questa, della poca onestà la piaga massima e puzzolente della passata Amministrazione? Negatelo se lo potete! Nove processi incoati sono lì per provarlo; e quand'anche questi finissero a niente, per la vostra ed altrui pietà, ciò non pertanto la coscienza pubblica non si è sconvolta per credere bianco, il nero che ha sempre visto.
Inoltre potete negare che l'Amministrazione non corra meglio adesso? Vedete il quadro di confronto [6] delle sedute del Consiglio nei due anni 86 e 87 e dalla frequenza e dell'ordine giudicate. Attualmente le riunioni sono numerose; procedono senza screzio, e ciò che più monta, con indipendenza e senza le pressioni d'una volta, onde tutti dovevano votare come predisponeva il Capo vero del paese, pagato per servire e non comandare.
Ed era questo appunto, della vera indipendenza dei singoli e del regolare andamento amministrativo, che formava il voto del paese e del Governo; essendochè dal retto funzionamento del meccanismo amministrativo unicamente procede il miglioramento d'ogni cosa.
Prima le riunioni Consigliari formavano l'arcadia. Era uno sbraitare di cento voci stonate come le campane, in cui l'argomento si sperdeva nel rombo d'argomenti estranei.
All'opposto, oggi, benchè siansi rese pubbliche le sedute, non udite due voci insieme; non una interrazione. Tutti stanno col dovuto rispetto; nessuno parla senza avere chiesta ed ottenuta la parola. Il pubblico, sempre numeroso, assiste nel perfetto silenzio. E tanto ordine, cardine di ogni cosa, non è un bene del Cesareo governo ?
Non parliamo degli affitti comunali che si facevano in società fra gli amministratori; non parliamo dei traffici, noti in Galilea, sui poveri projetti, stupendamente giuocati ; sui tagli boschivi, sul molino, sul pascolo ai forestieri a suon di formaggi e ricotte; ricordiamoci soltanto dei regali obbligatori, per qualsiasi povero diavolo cui premeva un certificato. Insomma voi meglio di me sapete, che la tabe del manducare aveva invaso ogni fibra dell'organismo amministrativo sì che il Comune era diventato l'albero della Cuccagna, ne v'era più freno. Cosi si spiega l'audacia di portar via dai servienti comunali persino le porte della casa del Comune, per adattarle ai loro abituri. Così si spiega come persin l'Organo della Chiesa a 11 registri, di pregio antico e di valore, sia stato devastato dagli stessi che ne avevano la custodia, trafugato e distrutto. Per la ragione unica che era tanto incancrenito il male d'essersi perduto il pudore, dall'alto in basso.
Ecco perchè un Comune sì ricco una volta, con tanto patrimonio, si trova ridotto al lastrico, senza alcuna opera pubblica, gravato di debiti e miserie. E perchè, di controposto, furon viste costituirsi famiglie senza arte e senza mezzi, dopo che il gatto andò al lardo comunale. Ecco come si spiegano gli ordierni strilli, i ricorsi, i libelli che si ripetono ad ogni soffio traditore; perché non sì può più mangiare. Dolore acuto che, a ragione, muovono le imprecazioni; perchè il bottino era grasso, l'impunità sicura, e l'averlo perduto è per taluni un sogno, né possono persuadersi di aver finito.
Infatti veggasi un po, se arrivano ancora le mule dalla montagna cariche delle 40 decime di formaggio, da St. Stefano, Castel del Monte per gli amici? Veggasi un po' se si odono ancora, da mane a sera, e tutti i giorni le baldorie alle spalle del Comune ? Se vi ha chi osa portare o ricevere regali per cose d'ufficio? E in tanta tempesta di disordine e di audaci rapine l'aver salvata l'Amministrazione non è un bene del Cesareo governo ?
Ma andiamo innanzi. Neppure per la strada si è fatto alcun bene? Non vedeste lavorare tutto l’anno decorso; terminare il 2° tronco sotto la solerte Delegazione stradale, spendendosi da oltre le 11 mila lire ?
E non sapete quante pene per trovare il denaro che mancava? Avrebbe la benemerita Banca di Castellammare mutuatoci le 6 mila lire, puntualmente rimborsate, se il Comune non si fosse mosso e adoperato, specialmente per vincere la ritrosia dell'on. Deputazione provinciale che giustamente, in causa dei malaugurati precedenti, non voleva saperne ?
Ma voi osservate che la strada non è finita. Non è colpa nostra se insorsero questioni tra l'impresa e la delegazione da obbligare a sospendere i lavori. Per verità fu una disgrazia di più per Farindola questo fatto; avvegnachè senza di esso il 2° tronco sarebbe compiuto; e la strada aperta al pubblico avrebbe dato agio di stabilire la corriera postale, attuare la condotta medica, il trasporto coi rotabili; avrebbe, per dirla brevemente, dato vita e moto al paese e mantenuta la quiete. Perocchè i popoli, massime nei piccoli Comuni, han bisogno di vita e commercio per star tranquilli e migliorare.
Se per provvedere a questo incalzante bisogno il Comune non abbia fatto l'omnia possunt, arguitelo dalle successive lettere che le Autorità gentilmente tollerarono, come sfogo di passione al bene del paese.
“Farindola li
16
Dicembre 1887.
“
N. 1029.
All'Ill. Signor Direttore
del R. Genio Civile di Teramo
“ La pregiata
sua m'apporta
tanta pena
all'animo da non potermi contenere.
A chi non è al fondo delle cose, parrebbe
un dispetto che si fa al Comune di non voler far lavorare alla strada con questi
bei tempi, coi denari morti in cassa, e con tanta urgente premura che ne
abbiamo.
Ma che dico dispetto ! direbbe chi stasse
alle superficialità, essere uno scherno a Dio ed al prossimo; a Dio che, col
buon tempo, asseconda i mezzi; al prossimo che sta affamato senza poterne
usufruire.
Illustrissimo signore. La strada, le
ripeto, è di interesse capitale, in senso morale e materiale. Il tronco che
s'innesta alla provinciale poteva e doveva essere finito se si avesse voluto. E
un contro senso che l'esecuzione d'ufficio sia l'ostacolo a non fare, e che,
contrariamente alle Leggi e alle circolari, s'impedisca di fare. E un torto alla
logica che siasi lavorato sempre quando non v'erano denari, e si sospenda il
lavoro ora che ci sta il denaro, che
ci costa tanti sagrifici. Questo torto, come Ingegnere alla testa
dell'Amministrazione, non lo posso soffrire.
Mi tolga questo dannoso peso
dell'esecuzione d'ufficio, che non ha più né diritto nè ragione di sussistere.
Io Le farò vedere finito il tronco in venti giorni. Ma se non si termina la
strada in furia ed in fretta, la mia posizione è insostenibile e
rassegnerò le mie dimissioni.
Mandi a me l'appaltatore e vedrà che io
accomoderò tutte le questioni. Pretendere che egli lavori con amore ed
entusiasmo a sua perdita, per errori altrui, è un assurdo.
Si paghi ciò che
equità e giustizia esige, ma si lavori. . . . . . . . . . si termini”.
Il Sindaco Firmato: BARBIERI.
Farindola li 16 Dicembre 1887.”
N.
1030.
All' Ill. Signor
Sotto - Prefetto di
Penne
“ Il popolo,
dovunque, vuol vedere che si faccia;
poco gli importa che chi fa sia bianco o nero, bello
o brutto, purché lo conduca sempre innanzi al meglio. Migliorare le
condizioni materiali è migliorare il
morale, fugare l'inquietudine, provvedere alla tranquillità, predisporre alla
concordia.
La strada è il primo
ed indispensabile mezzo a ciò conseguire. Per le condizioni di questo Comune la
strada è questione di vita, perchè portando movimento, apporta miglioramento.
Sto coll'ansia di
vederla non finita, ma almeno transitabile, per mettere in atto la condotta
medica, la corriera, la posta ed altro.
Dopo tanta pena a procurare il denaro,
ora non si lavora nemmeno più.
Le comunico in copia
la lettera compiegata e faccio appello all'insita sua generosità, perchè faccia in
modo o di farmela terminare o
di lasciarmela terminare. La ringrazio.
Il Sindaco Firmato: BARBIERI.
Dopo ciò vorreste condannarmi perchè la strada non è compiuta, e potete sodamente sostenere che per essa nulla di bene siasi fatto? Non ricordate che giaceva abbandonata in rovina da oltre un decennio, mentre in un anno solo è quasi terminata ?
Che vorreste opporre sulla questione risoluta del debito Caponetti ? Non fu bene di aver sottratto il paese da certa rovina, estinguendo, in mezzo a tante pene e contrasti, a forza di corse e d'insistenze un debito su cui correva da tre anni il fatale interesse del 24 per % ?
La passata Amministrazione nella dissoluzione generale, pur questa triste eredità lasciava. Essa colla massima incuria, tralasciò di pagare gli interessi dovuti al Caponetti pel mutuo fatto al Comune nel 1876.
Non sì curò della citazione giudiziale; e come se fosse roba da sacco, si lasciò condannare in contumacia, nè diedesi pensiero di appellare la sentenza, almeno per acquistar tempo; la lasciò anche passare in giudicato; onde il Comune si trovò condannato a pagare agli eredi di Caponetti [7] L. 4080 all'anno d'interessi sino alla restituzione del capitale; cosicchè in tre anni tra interessi e spese si raddoppiò il capitale; ed in undici anni, dal dì del fatto mutuo all'estinzione, il Comune si trovò d'aver speso L. 53 mila per 17 mila ricevute.
Fatto inaudito, unico nella storia, valevole da solo a far condannare ogni principio di libertà agli inetti e birbaccioni. Altro che roghi e ghigliottina si meriterebbero gli autori del fatto.
E questi furono gli stessi che nell'81 ottennero dall'on. Deputazione provinciale il prestito di L. 30 mila all'unico fine e sotto la loro solidale responsabilità di togliere il debito Caponetti ed ultimare la strada, mentre poi nè questa né quelli videro mai un centesimo, perchè le 30 mila lire sfumarono.
E le cose erano giunte al punto, che i Creditori Caponetti avevano già iniziati gli atti per venire allo esproprio dei beni del Comune. Buon per esso che in quel punto si trovò assicurato il prestito di L. 50 mila colla benemerita Cassa di risparmio di Torino ; che altrimenti, tutto il patrimonio del Comune sarebbe andato in Emaus ; ed oltre 700 famiglie coloniche del Comune sarebbero passate alla dipendenza dell'espropriante Caponetti. Notisi poi ché, a forza d'insistenze e viaggi, mercè il solerte patrocinio delle Autorità, si giunse ad ottenere, per considerazione, un rilascio di circa 3 mila lire a benificio del Comune. Ora l'averlo salvato dal fallimento, e da tanta rovina e l'avergli, per di più, fatte risparmiare 3 mila lire non è un bene sig. Autore ?
Potrei accennare altri fatti per dimostrare l'errore nel dire che il Cesareo governo non ha fatto proprio niente di bene ; ad esempio l'arredamento delle scuole che mancavano di tutto, le quali nel corrente anno rimasero stazionarie a motivo di uno screzio male compreso e peggio risolto.
L'ordine e la decenza ristabiliti nell'ufficio del Comune (scioccamente definiti per lusso orientale), mentre quel locale era peggio di una bettola e di una stalla. E quanto influisca al sentimento del rispetto ed al buon andamento amministrativo la pulitezza, il decoro e l'ordine dell'ufficio, non v'è bisogno dirlo.
Alla pulizia del paese, in parte si è provveduto, compatibilmente colle condizioni del luogo. Almeno una volta la settimana vedesi ora scopare l'abitato, che prima si puliva nella sola occasione del matrimonio di un segretario. Il di più si farà, se ci lascierete in pace, avendo il Consiglio in seduta dell'8 gennaio deliberato lo studio della fognatura, indispensabile al paese.
E l'impianto nell'abitato di una farmacia, tanto necessaria, fu forse un male? Pare di no, desumendo dal fatto che tutti, amici ed avversari se ne avvalgono. Il servizio sanitario era più apparente che reale. Veniva disimpegnato da giovane medico che non riscuoteva, a ragione o torto, troppa fiducia nella campagna; onde, collo stipendio di L. 8 al giorno, lo si vedeva sempre passar il tempo cacciando i passeri. I contadini preferivano pagare e farsi curare dal flebotomo locale, anzichè dal medico laureato. Pei poveri poi il medico era come non vi fosse; attesoché, posto anche li avesse carati, che serviva per essi il medico senza le medicine ? Oggi la medicina c'è pei poveri e pei ricchi.
Il medico fu pure rimpiazzato colla nomina di una distinta persona che accettò provvisoriamente la direzione sanitaria, coadiuvato dal predetto flebotomo, in qualità di assistente. Sicchè al medico di prima che prestava la sua opera a poche famiglie, si è sostituito un medico distinto con servizio periodico, un assistente fisso colla farmacia in paese. Può spiacere che il medico non sia fisso, non tenga cioè residenza in paese. Ma ciò avviene in molti Comuni che si uniscono in consorzio pel servizio medico. Abbiamo però il compenso del flebotomo che percorre la campagna come prima, informando di continuo il medico, tenuto a prestarsi in ogni occorrenza. Abbiamo pure il vantaggio delle medicine pronte e del risparmio di L. 1000 all'anno che vengono rivolte alla cura dei poveri, provvedendoli di medicine e di alimenti; avvegnachè sia fatto notorio al Governo pure che in questo, come in tutti i Comunelli rurali, la malattia endemica e perenne è l'appetito, che si cura col profilattico del lavoro e dell'assistenza pei vecchi ed incapaci.
Così ordinato il
servizio sanitario, che verrà migliorato
col medico fisso appena che miglioreranno del pari le finanze Comunali, parmi,
in relazione alle attuali
strettezze del paese, non si potesse far di meglio.
Però, innanzi tutto, mi sia permessa la domanda: Si fa più presto a demolire e distruggere o a riedifìcare ? Ora se accordaste tanto tempo alle passate Amministrazioni nell' opera loro distruttrice, senza mai inquietarle nell'assidua rapina, con quanta pietà e logica pretendete da me di rifar tutto in un fiat, sotto i dardi incessanti degli avversari ed ora di voi?
Perchè pretendere tanto, sotto l'accusa d'inettitudine, mentre alle passate Amministrazioni chiedeste mai niente? Ai maligni fareste dubitare foste concorde allora, come discorde ora, per le malaugurate L. 400 negate dal Consiglio. È mai possibile sentirvi sol da adesso commuovere tanto le viscere al bene del paese?
. . . Padron . . , padron tenetemi
. . . che se davver m'infurio . . .
mando per aria . . .
Ovidio . . . e . . . e . . . e . .
Eccomi ai 17 capi. Non dovreste ignorare che nel corso dell'anno, fra gli altri malanni, ebbimo pur quello di rifare tre volte il Cassiere. Questo fatto indica a priori lo scombussolamento delle povere finanze del Comune. Infatti si giunse al punto di non trovare più chi pagasse un soldo. Ciò però, voi lo sapete, entrava nel piano strategico degli avversari, che per altro a nulla valse.
Persino i maestri non si potevano pagare, onde taluno, con mentite spoglie, si valse del fatto per favorire l'avversario, atteggiandosi a vittima affamata ed allarmando contro.
Nè va dimenticato che per pagare i debiti vecchi, l'anno finanziario fu chiuso con 13 mila lire di deficit, a cui per L. 7200 si è provvisto e pel resto si sta provvedendo[8].
In siffatte angustie, come pretendere la costruzione del Ponte Rigo, la sistemazione delle strade interne, i ristauri al Cimitero, la collocazione delle chiaviche, la fognatura e tante altre belle cose? Sarebbe stata colpevole insania distrarre un soldo a beneficio delle opere pubbliche per quanto reclamate e necessarie.
Sull'Amministrazione del Monte frumentario v' è molto a dire . . . . . . . . . . . . .
Cura strategica della passata Amministrazione fu di scombussolare tutte le carte, sottraendo le più interessanti, acciò di non far trovare mai il filo di Arianna. Cosi non si trovava in Comune, per tutto l'oro del mondo, nè inventari, nè archivio vecchio o giovane, nè rubriche, né pandette. E devesi a tale disordine se parecchie pratiche rimangono in sofferenza. Ora come supporre che fosse possibile trovar subito il bandolo d'ogni affare, il punto di partenza per venire ad assodare le cose !
Tuttavia nulla del tutto non si è fatto; che anzi si assicurò la posizione del Monte frumentario a tutto il 1872 colle rispettive significatorie ai debitori, i quali sgraziatamente sono tutti membri delle passate Amministrazioni, per un complessivo avere di Ettolitri 3323.79 di grano, ripartiti secondo lo specchio seguente.
E poiché furono già prese le iscrizioni legali, a favore di detto Monte, contro :
Carusi Filippo………………………………………………………………………… per L. 14,190.—
Frattaroli Antonio………………………………………………………………… » 2,000.—
Girone Felice ora Raffaele …………………………………………………
»
2,000.—
Frattaroli Raffaele ora Eugenio ………………………………………
»
6,000,—
Di Francesco Luigi ora Eredi……………………………………………… >>
2,480.—
Valentini Francesco Paolo ora Giuseppe Nunzio………………
»
3,000.—
Girone Nicola ora Raffaele ………………………………………………… » 240.—
Frattaroli Achille………………………………………………………………….. >> 240,—
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Totale L. 30,150.—
così a mezzo di Commissario speciale, espressamente incaricato dalla superiore Autorità, si procederà tosto al ricupero della parte assicurata dall'ipoteca, e contemporaneamente s'imprenderanno gli atti contro i successivi debitori dal 1872 al 1880, alla quale epoca si è trovato salire il grano alla quantità di Ettolitri 5321, benchè in magazzeno non ne esista un acino. Pongo poi fede di far proseguire i conti dall'80 all' 87, sicuro di trovare non uno dei passati Amministratori immune di debito.
Il quale spiega, a chiare note, il movente vero della guerra all'attuale Amministrazione, riposto nella lusinga tradita, di avere un Sindaco compiacente in luogo di un Sindaco serpente che avesse trovato « la magagna della cuccagna. »
Se nell'80 la quantità di grano del Monte era di Ettolitri 5321, in 7 anni successivi deve aver aumentato almeno a 6 mila Ettolitri; che al prezzo soltanto di L. 13 l'Ettolitro darebbe un capitale di L. 78 mila, più che sufficiente per l'impianto e mantenimento dell'Asilo infantile che si vuole istituire.
All'erta, signori debitori ed anche Lei sig. Nunzio, che il Cesareo governo indubitatamente vi farà pagare! Strillate pure!
E Lei sig. Autore deplora i roghi e la ghigliottina! E gente cosi a modo vorrebbe farla ritornare nel grembo della santa madre Cuccagna ? Ma non v'è più niente da rosicare; perchè spogliato il Monte frumentario e l'altro pecuniario gli sparvieri gittaronsi sopra il Comune, che pelarono in santa pace, e lo ridussero nel modo che sono a dire.
Del Monte pecuniario confesso, mi mancò il tempo d'occuparmene.
Una cosa alla volta, sig. Autore, o non dubiti che saprò rivendicare pur esso. Finora mi consta che l'ammontare del Monte potrebbe salire a circa 10 mila lire, mentre, al pari dell'altro Monte amico, non esiste che in carta. Rivendicandolo potrà servire alla istituzione della Cassa rurale agricola che sarà tanta manna ai poveri campagnuoli.
In tanto flagello rapinesco era mai possibile andasse immune la Congrega di Carità, così chiamata per antonomasia? Questa istituzione non è mica da riordinare, bensì da falciare. L'attivo del suo bilancio ascende a L. 1500, di cui sole L. 200 sono per i poveri, se pur ai poveri ci vanno; il resto, ossia lire 1300, vanno tutte per tasse e stipendi. Se può darsi assurdità più magistrale di spendersi L. 1300 per amministrare L. 200, non saprei. Da ciò se dissi che l'istituzione deve falciarsi, vale a dire invertirla a fine più benefico e meno illogico, come all'impianto di un ospitale o di un ricovero di mendicità. Non è però sperabile rinnovar tutto a tamburo battente. Bisogna studiare con acuratezza il disegno e ben predisporre ogni cosa.
Vi ha inoltre un altro arduo lavoro a farsi. La rivendicazione dei beneficii usurpati.
Dal catasto antico del 1475, che si conserva, risulta che nel territorio comunale esistevano, tra beneficii e cappellanie, sedici enti, i cui beni ascendevano a circa 30 mila lire di capitale.
Ora gran parte di questi beni sono spariti, per opera, non dei poveri contadini che ne sanno niente, ma di coloro che tennero in mano il mestolo dell'Amministrazione.
Rivendicarli ed invertirli in opere di maggior beneficenza è dovere civile e morale.
Ora se l'indole stessa dell'istituzione richiede di procedere nell'innovazione con prudenza, serietà e ponderazione, vorrebbesi far colpa se finora poco si è fatto ?
Riguardo alle rendite patrimoniali del Comune parmi d'aver dimostrato che furono, non migliorate, ma salvate coll'estinzione del debito Caponetti, senza di che sarebbero passate in massa nelle mani di lui, per l'opera di coloro pei quali piangete i roghi e la ghigliottina. Lugete Veneres Cupidinesque ecc.
A trarre i coloni dalle angherie degli affittatori, siccome è da farsi per sentimento almeno di umanità, la cosa non è tanto semplice nè tanto facile. Fra le altre industrie create dal fecondo genio rapinesco, vi era pur questa dell'affitto della terraggiera.
Per chi no'l sapesse si chiama terraggiera la corrisposta del tomolo per tomolo (ossia un tomolo di grano per ogni tomolata di terra) che si paga dai coloni sulle terre comunali. La corrisposta cade sulle sole terre coltivate a grano, previa misura dell'estensione a cura ed a carico dell'affittatore.
Non è a dirsi che questa misura fosse sempre fedele; perocchè quand'anche il perito misuratore avesse avuto coscienza, il che difficilmente poteva avvenire di fronte alle pretese dell'affittatore che lo pagava, questi, posto ad libitum dal capitolato, pensava esso a portare le dovute variazioni alle singole quantità. E poichè l'affittatore erano per lo più gli Amministratori del Comune, compreso talvolta lo stesso Conciliatore, ne seguiva che i poveri coloni venivano messi alla disperazione: o pagare secondo le pretese, avendo o non avendo l'estensione, od aversi la peggio, ed anche le busse. Laonde il povero colono non aveva altra salvezza dalla Conciliazione in fuori, dove per converso praticavasi l'altra industria di gabbarlo, pelarlo meglio e deriderlo.
La Conciliazione, questa provvida istituzione, fa miracoli di pietà dove fu acclimata; mentre nel suolo indigeno, che fu per lo passato suolo di corruzione in tutto, pecca immensamente. Nei Comunelli rurali l'ufficio di Conciliazione è ricercato, perchè è fonte di rendita coi regali che seco porta. Cosicché in certi Comuni, eccezioni a parte, la Conciliazione è una punizione per chi non può far regali. È facile averne le prove dal numero delle sentenze che si emettono.
Or bene, il povero colono gabbato, visto che ricorrere alla Conciliazione è come dalla padella saltar nelle brace, col di più delle spese, deve sottomettersi e l'affittatore ossia affittatori fanno i loro affari. Condizione più iniqua pei nostri coloni non v'è, e muove a pietà chiunque sente in cuore sentimento d'umanità.
Ma il rimedio, ripeto, non è nè facile nè spedito in causa delle antiche leggi eversive del 1806 che gravano le terre demaniali; leggi che, in mezzo a tanto barbarismo, fanno l'elogio del governo di que' tempi, perchè dirette a due scopi santi; a estendere la coltura delle terre e ripartirle fra i nullatenenti; leggi per quanto benefiche nello spirito, oggi inapplicabili ed assurde per le cambiate condizioni sociali.
Quelle terre presupponevano condizioni che attualmente non sussistono più. Presupponevano ciò che erano allora, terre normali di nessun padrone. Ma poichè non furono applicate che in piccola dose, per la solita baraonda del profitto proprio, così i coloni si fecero giustamente legge da sè ; si presero le terre chi più, chi meno, e se le coltivarono; e dove vi fabbricarono e dove le migliorarono con piantamenti di ogni sorta. Nè pensando più a tanto ne fecero roba propria che vendettero, suddivisero, ed incorporarono a piacimento.
I Comuni proprietari lasciarono fare, trovandovi il loro utile; avvegnaché mentre prima quelle terre nulla loro rendevano, dopo la coltura percepirono costantemente la corrisposta così detta terraggiera del tomolo per tomolo.
Ora dopo tante generazioni, dopo tanti trapassi, di fronte alla tacita acquiescenza del proprietario e dopo varii trentenni di pacifico possesso, come si fa ad applicare quelli leggi, supponendo le terre nello stato verginale di abbandono e coltura ? Come si fa a cacciare famiglie intiere, nate su quelle terre stesse, santificate dal loro sudore, comperate, vendute, permutate ?
E un assurdo economico e politico, un controsenso alla civiltà il turbare la pace di tante famiglie per far male a tutti.
Eppure finché quelle leggi non siano abrogate, a ragione l'Autorità si oppone a qualsiasi accordo sulle terre demaniali, senza farsi la quotizzazione prescritta.
E poiché l'applicazione non può mai, per le ragioni addotte, aver luogo, ne conseguita che quelle terre rimangono sempre come sono, a gravissimo danno dell'agricoltura e del progresso sociale.
Gli onorevoli deputati delle meridionali provincie che conoscono il male e sanno quanto è esteso, avranno le benedizioni delle generazioni presenti e future se, illuminando il governo, ne promuoveranno il rimedio.
Per noi poi la faccenda è più irta; perchè trattandosi di colture provenienti da insani disboscamenti, condotti dalla ferocia dell'arbitrario possesso, senza riguardo a pendii, a franamenti, a dirupi, posto che si volesse quotizzarle e commutarne la rendita, bisogna prima, per le leggi silvane, far luogo al distacco delle terre che sono da rimboschire. Inoltre bisogna prima demarcare sul terreno, con termini lapidei, le linee divisionali tra la coltura e il bosco.
E vuolsi farne colpa se non si è fatto tutto di un lampo? Quanta insania !
Malanno grave sono le usurpazioni. Non v'è lato del territorio immune.
Sul confine di Bacucco, anni sono, si sosteneva una fiera lotta, che diede luogo ad innumerevoli processi penali, per mantenere l'antico possesso. Questa vertenza, conosciuta dal nome dei pretendenti, fece infine capolino sul terreno della legalità, e dovrà risolversi dai tribunali. La vertenza ebbe momenti difficili, perchè, inasprita dall'astuzia di far credere alle Autorità che i Farindolesi fossero gli usurpatori, onde la forza, tratta in inganno, veniva a cacciarli, ed essi vi ritornavano.
Questa altalena durò parecchi anni, infiorata da continui processi civili e penali, nei quali la giustizia, per l'incerto diritto, e per l'elasticità degli equipollenti, condannava ed assolveva, come meglio poteva.
Nel frattempo i raccolti devastati e rapiti da chi meno ne aveva diritto, coll'inganno e coi brogli, rendeva più desolante la scena[9]. Perchè i poveri Farindolesi spogliati iniquamente, nel più bello delle speranze, del frutto del loro sudore, facevano pietà. Fu allora che un'anima pietosa si mosse, e ponendo in luce, colla stampa, le ragioni dell'una e le pretese infondate dell'altra parte e più di tutto le arti che celavano la verità, nonchè il profitto che ingordi speculatori ne traevano, giunse a tirare in carreggiata la vertenza[10]. Le Autorità fatte accorte del giuoco che durava, col far credere l'opposto di quel che era, non più si prestò alle pretese e rimandò i contendenti al potere civile.
Cosi i Farindolesi, che tennero duro, rimasero al possesso, ed i signori Pretendenti, facendo di saviezza virtù, incoarono il processo civile che pende attualmente.
Ora poi gli stessi, fatti più saggi ancora, avrebbero avanzate proposte di accomodo, le quali sarebbero già state prese in considerazione, se, turbolenti per natura[11], non avessero alienato l'animo alla transazione.
Cionnullameno, ristabilita la calma, il Consiglio Comunale ritornerà sulla vertenza, inclinando alla transazione, per i seguenti motivi : 1. perchè dandosi la disgrazia di soccombere il Comune sarebbe rovinato, trattandosi di un valore in questione di 121 Ettari di terreno (Tom.li 300) e di 70 mila lire di rimborso reclamato : 2. perchè la causa, per la sua indole non può a meno di durare a lungo; onde se oggi viene dal Comune curata e condotta saviamente, per le evoluzioni amministrative, chi sa dire come andrà in proseguo e se verrà rasandata o peggio, compromettendo tante famiglie coloniche ! 3. Perchè, quantunque il Comune possegga titoli irrefregabili del suo diritto[12], pure il patema d'animo non cessa, sapendosi che tal fiata, volere o no, l'esito buono del giudizio è una sorte.
Laonde i più prudenti inclinerebbero alla transazione, nel senso di escludere la pretesa ideale dei rimborsi, e limitarsi a dividere a mezzo il valore del terreno in questione, restando questo al Comune e pagando all'avversario il prezzo della sua metà.
Così almeno verrebbe assicurato il Comune da funeste sorprese; cosi gli animi vivrebbero tranquilli e sicuri.
E tanto più conveniente sarebbe il transigere avvegnachè non sia per Farindola questione d'interesse generale, da dovere colla spesa gravare la generalità; bensì questione speciale al luogo, da risolvere a vantaggio dei coloni del luogo, onde a questi sarebbe posto il carico del rimborso al Comune mediante piccole rate d'aggiungersi al canone annuo delle terre.
Usurpazioni forti sarebbero quelle ai confini di Penne, Montebello e Celiera.
Tralasciando dal parlare di quella al confine di Celiera, dove quei terrazzani s'impossessarono financo dell'antica fonte di Farindola chiamata Fonte Cervara, impedendo per di più l'abbeveramento degli animali Farindolesi, cosa grave ed urgente da vedersi, mi limiterò all'altra conosciuta in paese sotto il nome di usurpazione Forcella.
Sino dal 1846 Farindola ricorreva al sig. Intendente della Provincia per venire reintegrato di una estensione ragguardevole di territorio comunale (in catasto Tomoli 994 pari ad Ettari 379,78 per la rendita di ducati 491,75 pari a L. 2090) che asseriva usurpati dal Barone Forcella.
L'Intendente emise sentenza [13] con cui ordinava la verifica, mediante periti d'ufficio.
I periti lavorarono lunga pezza, finchè si mise innanzi una proposta di accomodo che rimase senza effetto facendo sospendere ogni cosa.
Parecchio tempo dopo, quando per l'inconsulta libertà, nei piccoli Comuni tutto era lecito fare, si accordarono gli amministratori di allora colla nobile famiglia Forcella per la cessione ad essa di una estensione di terreno comunale e permuta di altra estensione, contro pagamento di L. 400 al Comune.
Fatto sta che la famiglia Forcella si prese il terreno, che è della migliore qualità, se l'ha goduto e se lo gode in pace, senza del prestabilito pagamento, e senza alcuna autorizzazione dell'Autorità superiore.
Cosi almeno risulta dall'incartamento d'ufficio. Ma il più bello sarebbe questo che, oltre di goderselo, il Comune ne pagherebbe l'imposta.
Così avvenne che al 7 ottobre 1883 il Consiglio deliberava di farne la rivendicazione, indicando nel verbale i documenti presentati a giustificazione della domanda[14]. Quei documenti sparirono dopo che due incaricati furono visti in paese, con gonfie bisaccie, entrare in certe case, e là sgravare il peso. Sarà una fandonia questa, non però inverosimile; ma quel ch'è certo che quei documenti, come tanti altri, non si rinvengono più.
Così il Comune resta colle pive nel sacco, a meno non riesca di trovarli altrove, ciò che sarà oggetto della massima cura[15], per condurre a termine la pendenza, già causa di processi e danni gravi a tanti coloni.
Altra grave piaga per Farindola è il Bosco. Lasciamo la questione, se all'interesse generale convenga concedere ai corpi morali l'amministrazione ed il possesso della ricchezza boschiva che ha tanta parte alla salute pubblica; o se non sia più consono ai principii della tutela pubblica di incamerare tutti i boschi, o cedergli alla industria privata, mediante una legge severa che ne regoli l'uso.
Nella mia pochezza io mi schiero arditamente fra i partigiani dell'industria privata, come più rispondente ai principii di discentramento, di progresso e di economia silvana, sempre che, ripeto, non manchi una rigida legge ad assicurarne la conservazione.
Ma a qualsiasi soluzione, io mi sottoscrivo sempre, purchè finisca l'obbrobrio attuale, della vandalica distruzione, e cessi questa ributtante contraddizione di disfare e fare da matti, cioè di vedere, da una parte chi non cessa a disboscare, e dall'altra chi s'affanna per rimboschire a difesa della minacciata salute pubblica.
Lasciare i boschi, questo prezioso retaggio dei nostri avi, consacrato agli Dei, per la tutela pubblica, nelle mani inesperte dei corpi morali mi sembra grande errore. I cataclismi atmosferici e meteorici, le valanghe, i franamenti, l'humus che viene esportato dalle acque, lasciando sterili i terreni, o più di tutto le tremende innondazioni colle desolanti conseguenze, il tutto assiemo parla in favore della mia tesi.
Ma riportandomi sul terreno legittimo degli interessi locali pare abbastanza eloquente l'espressione “essere il bosco per Farindola una piaga gravissima”.
Infatti, sul rispetto economico, il bosco, è al paese una passività. Le sezioni di taglio, unico ricavo del soprassuolo, non sempre si fanno; e se si fanno non coprono le spese della custodia boschiva. La media del ricavo degli ultimi anni, computate le spese effettive, dà questo risultato[16].
Prendiamo ad esempio l'ultimo taglio, il più esteso che siasi dato nel decennio. Una zona di 84 Ettari di bosco, stimata L. 3200, fu venduta per L. 1700. Pel regolamento silvano dovendosi le sezioni di taglio tenersi chiuse al pascolo, ne seguì che in quell'anno il Comune non potè affittare il pascolo in quella località. Di qui la perdita di L. 500 a 600 che, ogni anno, soleva ritrarvi. Il ricavo adunque della sezione venduta si ridusse a circa L. 1000. Dedotta la tangente annuale di concorso al mantenimento delle guardie forestali, di lire 968; dedotte le spese di perizia d'in circa L. 100; dedotte le gratificazioni alle guardie forestali e campestri pel servizio straordinario di sorveglianza al taglio, in altre L. 150 circa; dedotta la tassa fondiaria di L.1000, veggasi qual utile ha conseguito il Comune. Notisi poi che la sezione fu appunto stabilita ampia per compensare il Comune dei tagli non fatti da tre anni. Bel compenso!
Vero è che l'essersi venduta una sezione di taglio, tanto estesa, per sole L. 1700, mentre potevasi vendere per L. 3000, ha dato agli occhi della giustizia, per essersi verificato che nell'appalto, come avveniva in tutto, i veri assuntori era l'Amministrazione del Comune; tuttavia “ab uno disce omnes” le cose dei nostri Comuni rurali, dal più al meno, procedono sempre giù per lì.
E pur vero che oggi si sta dalla solerte Ispezione forestale predisponendo un vasto piano di generale sistemazione, che, oltre agli altri benefizi, apporterà indubbiamente maggior profitto al Comune; ma gli uomini si cambiano; e quanto durerà l'attuale straordinaria attività dell'Ispezione silvana, assecondata dalla comunale Amministrazione? Tanto quanto una meteora, per ricadere poi in condizioni forse peggiori di prima. Oh di quanto meno danno sarebbe alla società l'incameramento di tutti i boschi profanati dai Corpi morali!
Ciò però non costituisce la piaga maggiore. Essa è riposta negli effetti morali che il bosco produce.
Non parlando della custodia dei nostri boschi, effìmera per essere insufficiente; non parlando del basso personale di guardia, non sempre all'altezza del suo dovere, onde cogli illeciti profitti, concorre alla maggior devastazione; non parlando della meschina paga che loro si corrisponde, ridotta più meschina dalle tante ritenzioni, circostanza che spinge l'uomo, gravato di famiglia, talvolta a peccare per necessità; non parlando infine della corrività a prestarsi ai partiti locali, per illusorie gratificazioni, cosa che si verifica a danno della pubblica quiete, in causa delle vendette che ne vengono; io chiedo quanta moralità v'è nella legge attuale di far perdere i diritti politici a tanta gente per futili motivi? Che forse i diritti politici, base inconcussa della moderna società, frutto inestimabile della nostra epopea nazionale, sono gingilli da ragazzi da baloccarsi con indifferenza?
La legge attuale, più severa della passata, qualifica per furto ogni minima contravvenzione boschiva. Le autorità giudiziarie, indignate talvolta dalla frequenza e dalla recidività, a fronte delle deposizioni giurate delle guardie, talvolta falsissime, talvolta vendute, talvolta fatte per industria, contro chi non paga loro il tributo, talvolta ordite per vendette di partito, le Autorità giudiziarie, di fronte agli accusati che non sanno difendersi, e non possono, per miseria, farsi difendere, gettano giù a josa sentenze di condanna colla qualifica di furto forestale.
Ora per l'art. 26 della legge comunale i condannati per furto perdono i diritti politici a vita, se non vengono dopo cinque anni riabilitati; riabilitazione che i poveri campagnuoli non sanno neppure dove stia di casa.
Avviene che in paesi di montagna, specie Farindola, un'infinità di gente trovasi d'aver perduto, senza saperlo, il più prezioso tesoro dell'uomo libero, i diritti politici; per quale causa? per un fusticello di legna che aveva diritto di raccogliere, e che ben non si sa, se fosse realmente verde o secca, mancando nel giudizio il corpo del reato.
Si può dare maggiore enormità nel mondo civile? Pensi il governo a questo fatto, lui che ha il compito di tutelare i diritti di tutti, ed il perfezionamento civile. Ponga nella nuova legge comunale un articolo che ripari l'inconveniente a salvezza del decoro stesso della Nazione.
Questa è la piaga massima di Farindola riguardo ai boschi. I Farindolesi hanno diritto di legnare e pascolare. Ma questo diritto vien loro schiacciato dalla prepotenza; perocchè chi per poco non sia amico delle guardie e si azzardasse ad andare o mandare per un po' di legna al bosco, potrebbe passarla male. Cosicchè sapendosi che, o legna secca o verde, le guardie han sempre ragione, i prudenti rinunciano al diritto, pur di non trovarsi esposti, per vendetta o malignità, a perdere ì diritti politici. Massime poi colla fede che la guardia, quantunque talvolta di bassa lega, inspira al giudice; nonchè alla difficoltà di aver testimoni, ed al pericolo di averli falsi a cura delle guardie stesse.
Son cose che avvengono giornalmente. Son mali coperti indigeni nelle basse società dei nostri monti.
In conclusione il fatto è questo che a Farindola un buon decimo della popolazione ha perduto i diritti politici; un ventesimo per soperchierie di false contravvenzioni, e l'altro ventesimo pel grave delitto di aver fatto un fascetto di legna al bosco per iscaldarsi. Ond'è che Farindola non è, più padrona de'suoi boschi; i padroni sono le guardie, e le famiglie sono costrette comperare la legna dai miserabili che ne fanno industria, non curandosi nè del carcere nè dei diritti.
Questo stato di cose non può tollerarsi, senza far onta alla civiltà. Ai diritti del Comune si provvederà; pel resto ci è arra di speranza l'Autorità, massime quella silvana, oggi cotanto illuminata ed attiva, e non disperiamo, che, conosciuto il male, troverà modo se non a guarirlo del tutto, ufficio solo di migliori leggi, di mitigarlo almeno e contenere.
Non si opponga che la salvezza dei boschi richiede il
rigore, da cui vengono le accennate conseguenze. Rispondo francamente che in tal
guisa si salva niente, anzi si distrugge tutto. Il ladro dei boschi, convien
saperlo, è sopratutto la miseria. Finchè non si giunge a portare su pei monti
qualche industria che dia da vivere, nelle stagioni rigide, a quella povera
gente, avremmo bel dire e fare; il bosco andrà
sempre in malora. Si creda a chi giudica de visu.
Nella rigida stagione, veggonsi scendere da quei monti carovane di famigli, carichi di legna, con pesi sproporzionati alle loro forze, irrorare di sudore il cammino nevoso, sotto la sferza del gelato aquilone. È quadro rattristante, e fa stupire come la natura resista, e come, peggio delle bestie da soma, possano portare, sui lontani mercati, quei carichi provvidenziali, accumulati di notte, per non morire di fame di giorno e non far morire i propri figli. Oh! confesso che a quella sublimità rusticale di sentimento il cuore s'intenerisce, e fa ringraziare la Provvidenza per essi.
Laonde saggiamente pietoso è il concetto del Ministero di introdurre e diffondere negli aspri monti nostri, come nella Svizzera, l'arte degli intagli e dei piccoli lavori in legno; e facciamo voti che venga cordialmente assecondato dalle Autorità locali, e da tutti che sentono in cuore la religione della carità.
Altri ladri devastatori de' nostri boschi sono gli industriali per mestiere, ed i carbonai. Questi non è da pensare di vederli accusati. Essi lavorano al sicuro, alla luce meridiana poichè pagano la loro mensile tangente e di conseguenza le guardie non li veggono, nè si accorgono di loro. Non mi contraddite! Sono del luogo, e più e più volte fui richiesto dai tributari, per solvere il debito. Non dico che ciò avvenga oggi nè qui.
Mio scopo non è di accusare; anzi constato con compiacenza che il servizio boschivo da poco tempo qui è migliorato.
Parlo in genere, vicino come sono a vedere ciò che avviene in altri boschi. Non nascondo che in quasi tutti il vandalismo perdura a meraviglia.
I vandali più spietati, ossia i carbonai, al chiarore della luna penetrano nei boschi e fanno strage ordinariamente dei piccoli faggi, ossia delle piante di speranza, destinate alla riformazione del bosco, come quelle che più si prestano alla speditezza e convenienza del lavoro. Tagliate e sminuzzate le legna le trasportano in luoghi da dove non si riesce tanto facilmente a scorgere da lontano il fumo delle carbonaie, le quali di rado vengono sorprese, in causa pure della distanza del paese.
Altri carbonai, più spietati, industriali per mestiere, sono quelli che tengono le masserie sotto al bosco. Questi caricano di notte le bestie e trasportano il legname alle stesse masserie, dove tengono il vecchio piazzale da far carbone a loro comodo. E difficile passarvi vicino senza vedere carbonaie accese, o preparate; la virtù di non vederle è tutta delle guardie.
Non ho mai compreso il perchè la legna di faggio che si porta dai nullatenenti sui mercati, ed il carbone che si fa nel modo suddetto da chi non possiede boschi, debba essere roba privilegiata e non vada soggetta agli art. 99 e 100 della legge di P. S. come roba di furtiva provenienza, a cui sia lecito chiederne conto.
Unico rimedio a tanto male sarebbe, pei primi, di organizzarli in società, come qui si sta facendo, onde, coll'acquisto delle sezioni di taglio, educarli al lavoro lecito ed onesto ; perocchè altrimenti è vano sperare di correggerli, essendo il mestiere del carbonaio, come quello del contrabbandiere, un bisogno della vita che non ponno lasciare.
L' istituzione della Società dei carbonai sarà la salvezza dei boschi, perchè trovando i carbonai nei tagli regolari la loro esistenza, cureranno essi stessi il bosco, senza far ricorso alla vigilanza ufficiale. Laonde dovrebbe il Governo promuoverla ed incoraggiarla, come mezzo diretto alla razionale sistemazione della coltura silvana.
Pei secondi poi, cioè per i carbonai industriali, unico mezzo di repressione è la rigorosa soveglianza.
Una frequente ispezione alle masserie sospette, col sequestro della legna e carbone che vi si trovasse, congiunto a contravvenzioni gravose, sarebbe il più efficace rimedio. Ma bisogna sopratutto distruggere il camorrismo vivente degli industriali colle guardie. E qui sta il busillis.
Le guardie forestali costituiscono un grave peso ai Comuni ed alle Provincie, e non è peranco deciso se siano di bene o di male. Se non valsero, nè valgono a salvare i boschi, la risposta è chiara.
Mi sono esteso troppo nell'argomento; ma è tanto serio, sotto ogni aspetto, che credo di non aver fatto opera vana, e cosi forse la penserà chi ricorda le terribili ecatombe dovute alle innondazioni, cagionate dalla profanazione dei boschi.
Ma il serio, lo spaventevole per Farindola sono le sue condizioni finanziarie, terribile conseguenza del passato.
A me non fan peso le chiacchiere, le egoistiche escandescenze, i libelli, le minaccie di chi vorrebbe sopraffare. Le finanze son quelle che m'impensieriscono seriamente. Si tratta di un debito di 80 mila lire, senza nulla ancora aver fatto, ad eccezione della strada, che, a compierla, richiederà altro prestito. Si tratta che tutto rimane a farsi: altra strada obbligatoria per Montebello, strade interne, fognatura, ponti, scuole, fontane, casa comunale, chiesa. Pur troppo tutto manca, financo la chiesa, attualmente indecente, per non dire peggio, insufficiente, insalubre.
E per far tutto, benchè gradatamente, ci vogliono denari, mentre le risorse per pagarli sono finite.
L'antica risorsa era il bosco. Una selva vergine rigogliosa, che formava l'ammirazione, con piante colossali di frutti gentili, noci, nocelle, pere, mele, la cui raccolta veniva annualmente data in appalto, e costituiva un cespite di rendita comunale. Tutto è sparito, ripeto, sotto le passate Amministrazioni, senza lasciar traccia di profitto.
Ora le risorse bisogna crearle di nuovo; e per crearle in modo che producano, richiedesi due elementi che mancano: senno e quiete. Non la quiete del passato, all'ombra della quale si spogliò il paese,ingrassando i ladri; bensì la quiete che viene dalla concordia e dal sentimento unisono di giovare al paese.
Ma questo sentimento non v'è mai stato, nè vi sarà così presto la coltura di mente e di cuore che quel sentimento produce.
Farindola potrebbe rifarsi importandovi un po'di commercio e d'industrie. La prima e naturale perchè propria del luogo, sarebbe l'industria del latte. Basterebbe questa a far cambiar faccia al paese; da miserabile ed indebitato, renderlo, com'era una volta, fiorente e ricco. Chi ha qualche cognizione di ciò che sia latteria sociale, di ciò che può dare, dell'agiatezza che può diffondere, sull'esempio della Svizzera e del Tirolo, comprende di volo quanto giovamento apporterebbe l'istituzione e quanto sia a deplorarsi che si viva nella miseria in luoghi creati dalla natura per essere ricchi.
Ne vi farebbero difetto le condizioni morali; avvegnachè l'apparente turbolenza è tutta superficiale e temporaria. E' dovuta alla delinquenza impunita, che, fomentata dalla stessa impunità, ritenta l'opera e cerca coll'agitazione, coi maneggi, colle minaccie di riacquistare il passato.
Ma pochi facinorosi non fanno il paese; il quale è calmo, tranquillo, laborioso, di buoni costumi. Se non che è a desiderare mano più forte nella giustizia, sembrando a taluni che debbasi all'insufficienza di essa l'attuale risveglio turbolento. Quando il ladro, il birbaccione trova mezzo di svignarsela dalle unghie della giustizia, riprende animo e ritorna alle imprese. Nulla più dell'impunità è nocivo alla causa dell'ordine[17].
Per quanto però impensieriscano le condizioni finanziarie rispetto all'avvenire, non e a disperare di non poterle migliorare e rimettere, purché si tenga a freno la prepotenza.
Più deplorevoli sono le condizioni finanziarie presenti. Se non si giunge ad assestare il bilancio in modo di renderlo l'espressione sincera della realtà, affinchè cessino i disavanzi continui, le cose non possono progredire. Nessuna Amministrazione è possibile col disesto finanziario e coi disavanzi continui.
Attualmente i carichi sono da soddisfarsi mensilmente ed a bimestri; mentre l'esazione del patrimonio si fa in fin d'anno, all'epoca del raccolto. Questa incoerenza fa sì che buona parte dei mandati rimangono insoddisfatti, e finiscono nelle mani d'usurai, a danno dei titolari ed a discredito del paese.
A rimediarvi si stabilì di fare la riscossione del patrimonio a rate bimestrali. Ma non tutto il patrimonio può assoggettarsi a questa legge, poichè sonvi rendite che non si possono accertare e pagare se non dopo che sono prodotte. Così è delle rendite provenienti dal pascolo, e dalla terraggiera, quando questa non venga data in affitto.
Inoltre il nostro contadino è solito pagare colla rendita dell'annata; nè trovasi in grado di pagare anticipatamente, non avendo altra risorsa, dalla terra in fuori.
L'obbligo quindi del pagamento a rate bimestrali non potrà attecchire che nel corso di vari anni, e per ora si risolverà in vessazione inutile e perniciosa, che, pel quieto vivere, sarà mestieri temperare, provvedendo al manco con altro mezzo.
Ora questo mezzo dovrebbe consistere nell' anticipo da farsi dal Tesoriere, contro interesse scalare del 12 per cento, consentito dalla legge; ma poichè a tanto non si presta il nostro Tesoriere, non rimane altra via in fuori di aprire conto corrente con una Banca, conto da chiudersi in fine d'anno.
Il punto più nero della finanza comunale sta nella sproporzionalità dei pesi di riscontro alle forze contributive. Quando la rendita patrimoniale viene assorbita dalle imposte e talfiata non basta neppure, come avvenne nel decorso anno[18], sorge naturale la domanda se non convenga cedere a dirittura il patrimonio allo Stato e risparmiare almeno l'incomodo di amministrarlo.
A questa triste condizione son ridotti gran parte dei nostri Comunelli, di avere cioè più imposte che patrimonio. E come progredire nel meglio?
La piaga che deploro, bisogna irremissibilmente sanare; e si sanerà, in parte, col censimento o quotizzazione delle terre, sgravando il Comune della fondiaria.
Ma il vero assestamento delle finanze comunali non si conseguirà senza di una ardita operazione, che Farindola, fortunatamente, può fare.
Il bilancio non può sopportare 6 mila lire d'imposte all'anno; nè altre 7 mila d'interessi di debiti. Laonde, posto che a scemare le tasse si provvegga sollecitamente nel modo suindicato, resta a vedere come ridurre anche le 7 mila lire d'interesse annuale. E poichè, come ho sopra esposto, ad onta dei debiti, tutto in paese rimane a fare, onde si ricercano altri debiti, cosi escogitai un piano finanziario che provvede all'una e all'altra bisogna.
Il piano consisterebbe nell'unificazione e conversione degli attuali debiti, in un debito maggiore a doppia scadenza.
Possedendo il Comune oltre 300 mila lire d'immobili, è chiaro che potrebbe prendere dal Credito fondiario un capitale di L. 100 mila ammortizzabile in 50 anni; con esso rimborsare i due mutui d'insieme L. 80 mila ed avanzare L. 20 mila per le opere a farsi. Conseguirebbe in pari tempo il vantaggio di scemare la spesa attuale d'ammortamento, in causa della maggior durata dell'ammortamento stesso.
Così il Comune allevierebbe il suo bilancio annuale e provvederebbe all'assestamento di esso.
Sviluppando colle L. 20 mila e colle opere pubbliche un po' di commercio, promuovendo la latteria sociale, regolando l'industria del carbone mediante l'associazione dei carbonai, che si sta facendo, istituendo l'arte proposta dal Governo a salvezza dei boschi, degli intagli e dei piccoli lavori di legno in montagna, l'avvenire brillante del paese sarebbe assicurato. Ma a ciò conseguire, ripeto, ci vuole ordine e quiete; e per aver questa fa mestieri due cose: disperdere il focolaio delle agitazioni e mettere a freno i pochi facinorosi che inquietano il paese. Così rinfrancati i buoni nella positiva tutela della legge e dell'ordine, le cose camminerebbero.
Posto poi che i mezzi indicati non attecchissero, a salvare Farindola non resterebbe che un solo espediente radicale; quello di sopprimere il Comune ed aggregarlo a Penne, formandone un borgo della città, con beni ed amministrazione separati ; almeno sarebbe governato da galantuomini.
Assurdo esiziale è quello di pretendere che un Comune si amministri da sè, senza avere elementi capaci. Quando manifesta di non averli e di non poterli sperare in prossime generazioni è una crudeltà l'abbandonare una popolazione a siffatto assurdo; il buon senso consiglierebbe a sopprimere il Comune, od altrimenti a dargli un R. Delegato a vita.
Le migliori teorie sono talvolta le peggiori guide sociali. Ciò avviene allorchè si vogliono applicarle in senso assoluto; quando non son poste in armonia colle condizioni che determinano la vita sociale. Dire che la libertà porta il correttivo di se stessa è, in tesi generale, uno sproposito. Nel mondo de' fatti tutto è relativo. Di assoluto non v' è che la natura. Se non troviamo giusto dare ai fanciulli le armi in mano, se teniamo necessaria la tutela dei minorenni, con qual logica ricusare altrettanto ai Comuni? Perchè due pesi e due misure? Non sono pur essi soggetti alla legge della vita sociale? Chi nasce adulto e saggio?Tutto in natura cammina per gradi, nè si giunge alla pubertà cogli ideali astratti; ad essa poi tien presso l'età matura che esplica le roprie forze e le fa convergere utilmente. Finchè però a questa età il Comune non perviene, perchè abbandonarlo?
Naturale poi che, abbandonato, cada nelle unghie dei birboni che lo sfruttano a piacere. Il torto non è degli uomini, quanto dei principii male applicati.
Fatto è che chi ha rovinato buona parte dei nostri Comuni fu la libertà. Non mi si parli della tutela moderna. Questa superfetazione alla libertà, è l'altra rovina dei Comuni. La tutela deve stare nell' orbita del Comune, se non vuole essere ingannata ; deve entrare nelle compagini vere della vita comunale, dove soltanto trova la sua ragione filosofica. Da lontano, coi telescopii non si vede la realtà. La tutela, come sta adesso, è un ingranaggio da sopprimere; una ruota inutile che complica, rallenta e rende più ruvido il movimento a danno della società. Nella vita politico amministrativa io non veggo che Comune e Stato affrancati dalla libertà. Ma la vera libertà non esclude, anzi impone la paternità; perocchè libertà assoluta, è licenza.
Io quindi applaudo di cuore alla teoria di coloro che non vogliono il Sindaco elettivo nei piccoli Comuni; mancherebbe anche questo malanno a scombussolarli del tutto, e fo voti affinchè nella nuova legge comunale, il Governo riservi a se la facoltà di sopprimere i Comuni che non ponno vivere da sè, aggregandoli a centri maggiori, ricostituendo i forti Comuni italiani; od almeno si riservi la facoltà di farli amministrare da speciali delegati, anche a vita, quando l'interesse pubblico lo richiegga. Per i puritani della male intesa libertà sarà da temere l'arbitrio. Ma quando l'eccesso è minore del male, si giustifica da sè.
Farindola è del numero dei Comuni rovinati dalla libertà. Prova splendente è questa, che fiorì sotto il bastone despota, e precipitò nella libertà.
La fisonomia morale-politica del paese non è poi tanto brutta. Si fece credere astutamente che Farindola fosse il covo dei briganti. Nulla di più falso. Furon pochi briganti che si impossessarono del paese, ed allarmarono le fantasie per meglio depredare. Gli strilli selvaggi del giorno vi dicono che così è; ma scovati dal nido e fugati non sono più da temere, se la provvidenza non manca.
Il paese fu sempre diviso in due classi; i campagnoli che vivono sparsi nelle masserie, ed il paesano che vive nell'abitato. Il campagnolo è qui, come altrove, laborioso, sobrio, religioso, onesto. Vive nella semplicità e nella concordia, lavora e non pensa ad altro. La sua disgrazia è di essere illetterato alla lettera. E un buon ciuco che si lascia caricare fin che regge, senza ricalcitrare. Timido nella sua ignoranza, sa di aver sempre la peggio e si acquieta al minore dei mali.
Il ceto che abita il paese è di altra pasta. Esso vive sul campagnolo, e lo spolpa a meraviglia. Sì compone della classe ristrettissima degli artieri, sarti, ferrai, bottegai, cantinieri; e della classe degli spostati, così chiamo per distinguere quelli che tengono qualche miseria, insufficiente alla vita; che sdegnano la zappa, vivono nell'ozio, senza arte e senza pane. Questa naturalmente è la classe che offre il maggior tributo ai disordini del paese. Come più astuta, perchè vive di malizia, tien sotto il campagnolo illetterato. E'questa la turba che governò pel passato, combriccolando, facendo scempio del Comune, delle Opere Pie e di quanto vi capitava, animata dalla impunità ed ammaestrata dai padri loro che costituirono le famiglie amministrando il Comune.
Onde quantunque non fosse che un pugno di gente, pure a fronte della massa impotente e mansueta dei campagnoli, era divenuta potente e lo sarebbe ancora, deludendo leggi ed autorità, se, per difetto di rudimentale istruzione, fossero stati meno tristi e disumani, più scaltri e meno insaziabili.
Ma Dio, che non paga il sabato, tocco di pietà, fece venire la festa loro, e caddero dal potere come corpo morto cade; perchè i campagnoli fremevano in cuore pel tirannico giogo, e, vistisi aiutati da chi meno credevano, presero la palla al balzo e, fatta selezione fra i migliori di loro, si unirono compatti e li vinsero rotondamente.
Da qui gli strilli dei caduti, le bestemmie, gli urli che impressionarono chi ne ignorava le cause.
Da qui pure i fallaci apprezzamenti di coloro che giudicando dall'epidermide, ritenevano fosse Farindola paese selvaggio; mentre che, da quattro furfanti in fuori, la popolazione è buona, devota alla legge, all'ordine ed al Re che ama in cuore.
Hanno ragione i vinti di latrare e maledire di continuo; perchè, oltre alla mangiatoia perduta, sanno come stanno, e prevedono il peggio. È difficile trovar uno delle passate Amministrazioni che non sia debitore del Comune; onde è facile prevedere la catastrofe; essi comprendono che non vi ha via di mezzo : o pagare o perdere sinanco la speranza di ritornare al potere.
In siffatte condizioni è opera indegna di aizzarli e lusingarli. Opera più cristiana sarebbe di consigliarli alla rassegnazione, acciò meno gravi per loro fossero le conseguenze. Ma eccitare la loro già calda fantasia e spingerli agli eccessi, facendo sperare di ricuperare colle prepotenze e seccature il terreno perduto, quasichè l'Autorità si lasciasse soverchiare dalle importunità e dalle astuzie, è triste ufficio di anima nera.
In tal guisa il potere ritornò nell'orbita naturale della rappresentanza vera, che funziona ora con tutta regolarità a modo di un meccanismo a cui fossero rimesse le leve mancanti.
Ma si manterrà questa ricostituita rappresentanza al bene del paese, onde vedersi sanare le piaghe ed avviarsi al meglio ?
Sì, rispondo, purchè si avverino le seguenti circostanze : 1. che il partito dominante, sia sorretto ed animato, tanto da dargli tempo di costumarsi, educarsi, istruirsi. Ho detto che il ceto campagnolo, che ora governa, è timido, meno istrutto e capace, ma il più onesto, per effetto stesso della sua laboriosità. Onde il motivo di sorreggerlo per altro tempo, affinchè si educhi e si rafforzi colla concordia e coll' unione. Le scuole serali per gli adulti, che funzionano da tre anni, benchè non sussidiate dal Governo, tendono allo scopo indicato; 2. che il Governo freni la prepotenza, dia forza all'Autorità, ne sostenga il prestigio necessario all'ordine, curando il malanno delle impunità che genera sconforto, fomenta il male e scredita la giustizia.
Il partito caduto può anelare al potere, ma non riacquistarlo, per tre motivi : 1, perchè è partito esiguo. Il paese, ripeto, non è l'abitato, ma la campagna; 2. perchè l'idea che possa riprendere il potere mette i brividi ai campagnoli e li tiene all'erta; 3. perchè i caduti, come accennai, sono tutti pregiudicati, carichi di debiti verso il Comune, nell' impotenza di pagarli, onde vengono esclusi per legge ed inutili diventano le insistenze.
Ma guai al paese se per qualche fatalità vi ritornasse. Sarebbe peggio di prima; avverrebbe come di una banda di briganti che rientrasse da dove fu cacciata, sitibonda di vendetta. Nulla sarebbe risparmiato. Desolazione, rapina, distruzione sarebbero i novelli trofei. Il paese, all'ombra della libertà, ritornerebbe alla schiavitù, alla tirannia domestica, ammantata di legalità, piaga che funesta non pochi nostri Comuni.
Ci pensi il Governo a non sperdere il frutto della sua opera pietosa. Giacchè può dire, con soddisfazione, di avere redenta una popolazione, sappia compiere l'opera grande col non abbandonarla. Non è questione di individualità. Nessuno è indispensabile al mondo, come nessuno è inutile. Il porro unum è di tenere saggiamente forte, acciò l'opera si compia, l'evoluzione non s'arresti.
Farindola coll'istituzione della latteria sociale, colla ferrovia economica che dovrà un giorno non lontano solcarla indispensabilmente, colla sollecita costruzione della strada consortile per Montebello e Vestea, destinata a completare la traversale delle due provinciali Vomano-Penne e Penne-Forca di Penne; colle sue opere interne di risanamento e di pulizia; colle sue cinque scuole che diffondono, come la tromba di Gerico, l'istituzione nel popolo, mercè dell'indole sua mansueta, laboriosa, rispettosa, Farindola non può mancare di ricuperare la salute e di addivenire presto un'altra gemma della corona che cinge la nostra gloriosa Provincia, benemerita alle scienze ed alle arti, sopratutto per l'alto patriottismo che fa l'ammirazione d'Italia.
E voi, Autore esimio, degno figlio del Dio di pace e di amore, voi cui non manca perspicacia d'intelletto, grandezza di cuore, lasciate le scurrilità degli abbietti ; palesatevi, senza compromettere i semplicioni, nelle feconde concioni della vita, come vuole onoratezza e coscienza. Vi muova a pietà questo povero paese, che merita il vostro amore. Almeno lasciatelo in pace. Sdegnate il linguaggio delle anime basse e sollevate il vostro spirito fecondo nelle aure pure dei principii militanti, dove soltanto trova incremento il bene, l'umanità, la civiltà col plauso di tutti.
V.
BARBIERI
PROSPETTO DI CONFRONTO delle Sedute e frequenze del Consiglio Comunale negli anni 1885-86-87, dalla Tornata autunnale a tutto Gennaio successivo.
Sedute
del 1885-86 |
Sedute del 1886-87 |
||||
Numero delle sedute |
|
Numero dei Consiglieri |
Numero delle sedute |
|
Numero dei Consiglieri |
1 |
31 Ottobre |
10 |
1 |
7 Agosto |
14 |
2 |
14 Novembre |
12 |
2 |
31 id. |
10 |
3 |
15 id. |
9 |
3 |
2 Ottobre |
11 |
4 |
18 id. |
8 |
4 |
9 id. |
17 |
5 |
28 id. |
10 |
5 |
16 id. |
14 |
6 |
5 dicembre |
9 |
6 |
23 id. |
15 |
7 |
10 id. |
7 |
7 |
30 id. |
13 |
8 |
17 id. |
10 |
8 |
11 Dicembre |
16 |
9 |
30 Gennaio |
12 |
9 |
8 Gennaio |
16 |
|
|
|
10 |
15 id. |
12 |
|
|
|
11 |
22 id. |
18 |
|
|
|
12 |
29 id. |
18 |
Numero delle Sedute 9
Concorso
medio Numero
9,60 |
Numero delle Sedute 12
Concorso medio
Numero
14 |
Allegato 2.
SPECCHIOdelle
passività
antiche
pagate
nel
1887
1. Debito Caponetti al 24 per cento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 28267
2.
Spese occorse
per trattazione dell'oggetto . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
800
3.
Ricchezza mobile arretrata sul dettointeresse
del 24 per cento . . . . . . . . . . »
964
4.
Spese di rogito di quitanza, cancellazione
d'ipoteca ed accessori . . . . . . . . . » 350
------------
Totale per l'estinzione del debito. . . . . . . . . . . . . L. 30381.
6. Ratizzi arretrati dovuti al Comune di Teramo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123.
7.
Tassa di Manomorta suppletiva dal 1879 al 1886 . . . . . . . . . . . . .
. . . . .. . . . .
»
1724.58
-----------------
Totale . .. . . . . . .
L. 32949.96
DEFICIT 1887 e sue cause
N. d’ordine |
TITOLO |
Bilancio |
Riscosso |
Deficit |
RAGIONI DEL
DEFICIT |
1 |
Terraggiera |
6000. |
4000. |
2000. |
In causa del ribasso del
grano, della diserzione dell’incanto e
della
minore estensione collettiva.
Avvertasi che l’esazione non
è finita, ma si ritiene non potrà dare di
più. |
2 |
Sezione
di taglio boschivo |
1000. |
>> |
1000. |
Non
ebbe luogo la vendita per mancata perizia da
parte dell’ispezione forestale,
quandunque sia stata pagata. |
3 |
Sussidio
del
Governo per
la
strada |
6000. |
>> |
6000. |
Fu
riscosso in parte dalla R. Prefettura la quale
non ha creduto versarlo al Comune, comunque esso
avesse versato l’intiero preventivo del progetto
in L. 23 mila |
4 |
Fida
e
tassa
bestiame |
7000. |
4610.50 |
2389.50 |
Il
concorso del bestiame al pascolo varia
annualmente. Il
ruolo dell’ 87
ha
dato soltanto la somma riscossa |
5 |
Sussidio
per
l’istruzione |
500. |
144. |
356. |
Fu
speso molto per arredare le scuole e non si
ottenne, dopo tante promesse, che la meschina
somma riscossa. |
6 |
Tassa
focatico |
2000. |
1718. |
282. |
|
7 |
Tassa
domestici |
100. |
>> |
100 |
Non
riscossa per mancanza del Regolamento che ora
trovasi presso l’on. Deput. prov. |
8 |
Da
Nicola Cretara |
125 |
>> |
125. |
E’
esigibile con la vendita degli oggetti lasciati
in deposito |
9 |
Tassa
suppletiva
Manomorta da
pagarsi |
>> |
>> |
1700. |
Non prevista in bilancio, per supplemento agli
anni 81 all’86 stante l’infedele denuncia
come dal precetto avuto |
|
TOTALE deficit |
. . . . . . . . . |
Lire |
13952.50 |
|
Allegato
4.
CAPITOLO IX.
Che contiene le competenze avute riguardo alla confinazione demaniale dell'Unità di Farindola colla R. Cam. Ser.ma di Bacucco, e di lei affittatori.[19]
La confinazione del Demanio di questa Unità di Farindola nella parte Occidentale piegando al Settentrione, e colla Montagna, e Bosco della Ser.ma R. Cam. allodiale di Bacucco. In questo lato per lo passato non vi è stata competenza nè per parte dalla Cam.a Ser.ma, e Cittadini di Bacucco, e molto meno per parte di Farindola, e di lei Cittadini, ma sibbene si è sempre vissuto con pace perfetta. Ciò però non ostante nell'anno 1788 per opera di Giorgio de Victoriis uno de' naturali di Bacucco si cercò turbare la passata armonia, e ponere l'Unità di Farindola in un litigio colla Cam. sud.
Il motivo del disturbo si fu: Un certo Costantino di Michele di Nazione Albanese della Colonia di Pianella affittò in detto anno 1788 tutti li Beni della sud. Ser.ma R. Cam., ed ebbe per socio il nominato Giorgio de Victoriis. Questi, siccome aveva sortito un naturale odioso alla tranquillità, ambizioso di profittare sulle robe altrui, ed inquieto perturbatore dell'altrui pace, cercò per ingrandire i proprj vantaggi collo stendersi sopra li beni de' confinanti. Infatti in quella parte confinante con Farindola pretese stendere non poco la confinazione in pregiudizio della medesima, e, per giungere all'intento, avendo posto nel confine da lui ideato per custode un armigero di Nazione altresì albanese della suddetta Colonia per nome Costantino fece fare delle molte violenze, e pignorazioni a tutti quei Naturali Farindolesi, che andavano in quel luogo a legnare liberamente, secondo il solito, come appartenente a quella Unità.
Di tali violenze pregiudicevoli a proprj diritti si risentì l'Unità di questa terra di Farindola, ne formò ricorso a S. M. D. G., ed ottenne gl'ordini, che la Giunta allodiale disposto avesse il conveniente di Giustizia per cui il Delegato di detta Giunta Consigl. D. Salvatore Caruso incaricò la Regia Udienza Provinciale di Teramo di doversi sull'esposto da Farindola informare e riferire. Adempì l'ud. al tutto, e fece l'ordinata relazione, in vista della quale l'aggiunta sud. commise all' Ud. medesima l' informazione giudiziaria, che fu presa in Penne dall'Assessore di essa Regia Udienza, il quale compilato il Processo, e questo trasmesso alla Giunta, la stessa citò ad informarsi non solo il Guardiano Costantino, ma ben anche il Giorgio de Victoriis mandante e consulente. E siccome questi cedettero alla pretensione, così la cosa si rimise nello stato conforme di presente si continua pacificamente.
Costando dalla presa informazione la liquidata confinazione, che divide il demaniale di questa Unità dalli beni di d. Cam.a Ser.ma, col dato contesto di dieci testimonj tutti naturali di Bacucco, a perpetua memoria ad licteram la trascrivo, ed è come siegue:
Copia della Menzionata Relazione.
Ill. mo Sig. e Sig. e P.re Col.mo = Con venerata Carta de' 17 dello scorso Gennaro si compiacque V. S. Ill.ma di accordo con cotesta R. Cam. allodiale rimettermi una supplica umiliata al Real Trono dal Proc.re dell'Unità di Farindola di questa Provincia coll'incarico d'informarmi, e riferire l'oc-corrente sull'esposto in essa.
Rappresentò con quella il Proc. ricorrente possedere l'unità sud. di Farindola una montagna con Bosco confinante colla canna, e Bosco della Terra Allordiale di Bacucco di cui è affittatore Costantino di Michele di Nazione Albanese della Colonia di Pianella, e ch' essendosi nel mese di Settembre dello scorso anno 1788 portato a legnare nel Bosco di d. Cua Principale, secondo il solito, li di lei Cittadini fratelli Anastasio e Francesco Marcelli, e Giuseppe Frattarola, erano stati i due primi violentemente ripresagliati delle accette nella Contrada di Collesecco da un altro albanese chiamato per Costantino, che si teneva per Guardiano dall'affitatore, ed il Giuseppe Frattarola minacciò di vita con un tiro di schioppettata, da cui per miracolo non fu ucciso per aver ricusato di cedere la sua accetta, con essersi poi ricondotte le due accette rappresagliate a fratelli Marcelli nella terra di Bacucco a Giorgio de Victoriis della stessa terra socio dell'affitatore di Michele, che si ritrovavano presso di se senza di averle esibite a quella Corte, rifondendo a costui tutta la colpa delle violenze usate dal sud. Armigero, come uomo torbido, ed inquieto, e di sua natura perturbatore dell'altrui pace. Chiese d. Proc. dell' Unità che S. M. si benignasse di ordinare a questo Tribunale di prender conto delle accette pignorate, di verificar l'esposto e trovandolo vero,farle restituire, con l'ingiungere agli affittatori de'Beni della Camera di Bacucco di non dover accedere in avvenire i limiti, ed i confini de'Beni allodiali, con punire degli eccessi l'armigero Albanese, ed il socio affittatore de Victoriis.
Sono pertanto nell'obbligo di rassegnare a V. S. Ill.ma, che coll'occasione d'essermi recato nella città di Penne ad eseguire l'altro suo Comando per la riforma di quel parlamento a norma de'Reali ordini comunicatimi, stimai proprj adempire anche questo di persona pel maggior accerto della verità.
Sicchè col costante detto di dieci testimonj della sud. Terra di Bacucco rilevai che i confini divisorii, del tenimento, e canna di quell'Unità coll'altra di Farindola, e della Montagna, e Bosco di questa col Bosco della Cam. allodiale di Bacucco, sono: Il fosso dell'Incotta di lannascoli, il fosso dell'Inferno, o siano i due Pisciarelli, o sia lo scolo delle Acque, che dal med. deriva, Colle peloso, la Fonte d'acquafredda e la Cona di Siella [20]. Che la contrada di Collesecco, in cui fatta si era la ripresaglia, sia una delle componenti la montagna di Farindola, distante dagl'indicati confini dalla parte di quella Terra circa un quarto di miglio: Che l'Unità di Farindola ne sia nell'immemorabile pacifico possesso, fidandosi i propri cittadini non meno, che i Forestieri, fra quali vi sono stati fidati anche i sud. testimoni naturali di Bacucco da me sentiti, come mi han deposto, e me ne sono dippiù accertato col riscontro de'libri dell'Unità di Farindola, ch'effettivamente lo sono stati dal 1784 a questa parte per le rispettive somme cogl' amministratori di Farindola convenute.
Attanasio di Francesco di professione Agrimensore, e solito ad apprezzare per la Cam. Ser.ma. le di lei ghiande, confirmando il detto degli altri suoi paesani, ha dippiù attestato di non aver mai egli acceduto i descritti confini nell'estimo di esse: Che le accette a fratelli Marcelli fossero state ripresagliate nella cennata contrada di Collesecco d'indubitata ragione dell'Unità di Farindola circa li venti del mese di Settembre 1788, mentre quelli stavano in essa legnando, dal Guardiano destinato dall'affittatore della Camera Costantino di Michele, che pure ha il nome di Costantino, ed è della stessa Colonia Albanese di Pianella, il quale per incuter timore girava continuamente armato con schioppo, Bajonetta in cinta, coltello in sacca, ed alla militare portava pure i Mostacci, per cui venne sgridato dal testimonio Girolamo Passarini di Bacucco, nell'atto che lo vide ripassare con dette due accette pignorate per esser quella contrada di Farindola e non di Bacucco: Che avendo poi quelle ricondotte, e consegnate a Giorgio de Victoriis socio dell'affitto, se le ritenne, e poi ne restituì una al Franc. Manelli, facendogli regalare un tarì al sud. Guardiano, il quale animato da tal profitto, e dalle spinte del de Victoriis, che si descrive per Uomo torbido, e perturbatore per le novità, che vorrebbe indurre, che mai si son pratticate da altri affittatori de' Beni della Cam. Allodiale, tornò d. Guardiano colla solita armatura circa quattro o cinque giorni dopo in detta Montagna di Farindola, e contrada di Collesecco, minacciando di sparare a chiunque avesse ivi trovato a legnare, perchè così il de Victoriis gli aveva incaricato: E di fatti avendovi rinvenuto fra gli altri il Giuseppe Frattarola, tentò pignorare a questo l'accetta, che portava, ma perchè non volle confidargliela, gli tirò dietro un colpo di schioppettata, di cui era armato, dalla quale miracolosamente salvò la vita.
Questi eccessi e violenze diedeto motivo all' Unità di Farindola d'incaricare il suo Proc. in cod. Capitale di ricorrere a S. M., ed implorare le sovrane Provvidenze, come ho avuto l'onore di rappresentarle. E pregandola dell'onore de'suoi venerati comandi, con tutta stima mi confermo = D. V. S. Ill.ma=Teramo 5 Marzo 1789=Div. Obblig. S. V. =Tommaso Oliva=Sig. D. Salvatore Caruso Reg, Consigl. e delegato de'Reali Allodiali=Napoli.
Da quanto si è detto, basta per l'avvenire di lume, onde si sappia la confinazione della nostra Giurisdizione in quel lato, e potrà anche servire di lume in appresso nel caso si commetta simile attentato per inficcarsi l'antico possesso a questa Unità, giusta la descritta appurata conflnazione coll'enunciata informazione giudiziaria presa dalla R. V. S. di Teramo.
La giunta allodiale, in vista dell' informazione sud. spedì la citazione ad informand. tanto contro del Guardiano, quanto contro del Giorgio de Victoriis di Bacucco. E sebbene per le occorse rivoluzioni non si sia più proseguito tal giudizio, pure serva in appresso questa informazione di cautela per questa Unità, poichè in virtù di quella tiene una prova giuridica del possesso del luogo conteso, se mai voglia tentarsi d'inficiarlo, o per parte della Camera Allodiale, o di Bacucco medesimo.
APPENDICE
Nel 1823 fu fatto credere all'antico proprietario del Bosco in confine di Farindola, che i naturali di questa terra, i quali occupavano sino al limite attuale, chè è quello suddescritto, occupassero per usurpazione.
Rimasti infruttuosi gli accomodi bonari, perchè i Farindolesi tennero sempre duro nel loro possesso, l'antico proprietario nel 1828, con atto giudiziale citò il Comune di Farindola, il quale per disposizione del Sig. Intendente, fu difeso dall'Avvocato diTeramo Sig. Paolo De-Sanctis, come risulta dagli atti che si conservano nell'Archivio Provinciale.
Fu in vista del documento surriferito che l'attore desistè dalla causa, e da quell'anno in poi non se ne parlò più, aggiungendo Farindola al suo possesso, chiamato immemorabile in detto documento del 1788, l'incontestato pacifico possesso di un altro secolo ad oggi, e di sessan'anni dal 1828, possesso che ora si vorrebbe infirmare.
L'avversario impugna che il succitato documento abbia valore giuridico, dal perchè dopo il 1828 i Commissari ripartitori dei demani comunali, fissarono altro confine, che torna a suo vantaggio. Quanto sia frivolo il pretesto si arguisce dal ricordare, che le leggi eversive dal 1816 in poi, sono dirette unicamente al riparto delle terre, onde i Commissari non avevano facoltà di togliere una parte del territorio di un Comune per darla ad un altro. Che se variarono i confini, innanzi tutto è = resinter alias = e poi devesi ammettere la buona fede dei Commissari e forse la malafede pure degli indicatori interessati, in tempi tanto corrotti; sostenere però che da ciò possa venire alterazione nei diritti altrui, sembra utopia.
Allegato
5.
Per la grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme ecc. Duca di Parma, Piacenza, Castro ecc. Gran Principe Ereditario di Toscana ecc. ecc. ecc.
L'Intendente della Provincia del Primo Abbruzzo Ultra in Consiglio d'Intendenza, ha renduta la seguente:
ORDINANZA
Vista la domanda del Sindaco di Farindola, concepita ne'termini seguenti:
« Innanzi al Sig. Intendente della Provincia di Teramo, e Commiss. Reg. per le questioni Demaniali Nicola Valentini nella qualità di Secondo Eletto pel Sindaco defunto del Comune di Farindola, divotamente l'espone, che avendo questo Decurionato con verbale degli undici Maggio ultimo deliberato sulla reintegra del suolo Comunale usurpato dal Sig. Barone D. Antonio Forcella, così colla presente dimanda implora, che ai termini degli articoli 176, e 177, della Legge de' 12 Dicembre mille ottocento sedici, ordini la reintegra del fondo usurpato non solo, ma benanche il rimborso delle spese, non che de' danni, ed interessi, che da siffatto abusivo possesso il Comune ne risente, oltre le continue usurpazioni, che que' naturali ne ricevono nei pacifici dritti da essi da secoli esercitati sulla contrada Acquafredda, usurpata per via di fatto dal ripetuto Sig. D. Antonio Forcella. Un tal terreno trovasi nel nuovo Catasto riportato sotto l'art. 145 segnato in testa del Comune di Farindola, con questa leggenda:
Art. 145. — Comune di Farindola.
Designazione delle sezioni |
Num.d’ordine
dello stato di sezioni |
Natura |
Denominazione |
Estensione delle Terre |
Colonna diCarico |
||
I aClasse |
IIaClasse |
IIIaClasse |
|||||
L. |
196 |
Seminatorio |
Colle,
Ripa, Pietralunga e Casale |
50:0:0:0 |
63:0:0:0 |
180:0:0:0 |
304:60 |
197 |
Qurciato |
“ |
3:0:0:0 |
6:0:0:0 |
29:40 |
||
198 |
Boscoso |
“ |
“ |
200:0:0:0 |
60:00 |
||
199 |
Frattoso |
“ |
“ |
227:0:0:0 |
67:00 |
||
200 |
Inculto |
“ |
40:0:0:0 |
50:0:0:0 |
22:00 |
||
201 |
Inutile |
175:0:0:0 |
|
|
8:75 |
||
Segue
discussione |
|
|
T |
491:75 |
In fine il Consiglio d'Intendenza ordina, e provvede quanto appresso:
È abilitato il Comune di Farindola a provare con titoli, e testimoni i seguenti fatti.—Primo, Che D. Antonio Forcella sia col suo fatto proprio, sia con quello de' suoi agenti o coloni, abbia commessa un'usurpazione di una parte delle terre demaniali del Comune di Farindola, ed in qual punto delle contrade denominate Colle Ripa, Pietralunga e Casale, Secondo. Da quell'epoca la detta usurpazione sia avvenuta, e quali atti di dominio vi abbia fatto esercitare, quali danni siansi ivi commessi, e quale sia almeno approssimativamente la periferia della medesima usurpazione, coll'indicarsi precisamente le confinazioni delle dette contrade=La ripruova è dì dritto=Delega a raccogliere sopra luogo la pruova in discorso il Sig. Consigliere Provinciale D. Domenico Gaudiosi di Penne—Nomina del pari se fra tre giorni dal dì della notifica della presente le parti non convengono nella scolta di un sol perito, i Signori D. Luigi Angelini di Penne, D. Erasmo Ortolani di Cermignano, e D. Giovan Pietro Liberatore di Bisenti, uomini dell'arte, i quali prestato prima il giuramento nelle mani del suddetto delegato, procederanno allo esame, ed indicazioni delle seguenti circostanze di fatto, colla guida purancheo dell'esame testimoniale che sarà prima raccolto, cioè:=Primo descriveranno con una pianta topografica il demanio Comunale riportato nel Catasto provvisorio di Farindola nelle contrade di sopra indicate Colle Ripa, Pietralunga e Casale,marcandone le confinazioni che vi troveranno sì naturali, che artificiali, ed indicando i proprietari confinanti=Secondo da qual lato il detto demanio abbia sofferta usurpazione, misurandone la estensione, qualora questa fosso avvenuta, e precisando i danni prodotti al Comune, e la rendita annuale dallo stosso perduta=Terzo. Sentiti i rilievi delle parti, che saranno chiamate tanto ad assistere alla pruova orale ohe alla perizia, faranno i detti periti rimarcare con apposito verbale ogni altra circostanza influente a chiarire i fatti, dando il loro motivato parere, onde basare il giudizio definitivo=Il Consigliere delegato adempito ohe avrà, alle suddette prescrizioni, rimetterà tutte le carte in questa Intendenza per la ordinanza in merito=Le spese al definitivo=Teramo li 10 Settembre 1846=L'Intendente=Firmato: Cavalier Vaglia—Num.° p.° 5597=Registrata in Teramo li 28 Novembre 1846, Vol. 130, num.° 1° fol: 66 r° cas.° 6° per grana ottanta=della Cananea.
Comandiamo ed ordiniamo a tutti gli Uscieri che ne saranno richiesti, di porre in esecuzione la presente ordinanza; ai nostri Procuratori Generali e Procuratori Regii di darvi mano; ed a tutti i Comandanti ed Uffiziali della forza pubblica di prestarvi braccio forte, allorchè ne saranno legalmente richiesti=Teramo li 28 Novembre 1846=Per ispedizione—Il Segretario Generale=Firmato=B. Caccianini=N.° prog,° 5598=Registrato a Teramo li 28 Novembre 1846. Vol.° 130, n.° 1.° fol.° 66 v.° cas°. 1.° per grani venti=Firmato=Della Cananea.
L'anno 1847 il giorno 29 Maggio=In tenimento di Silvi=Ad istanza del Sig. D. Raffaele Frattaroli attuale Sindaco del Comune di Farindola proprietario ivi domiciliato=Io Marcantonio Piscielli Usciere presso il Giudicato Regio del Circondario di Atri come da Real Decreto dei 13 Luglio 1818, ivi domiciliato=Ho notificato la presente ordinanza, e quanto in essa si contiene rimessa dal Sig. Intendente di questa Provincia sedente a Teramo Cavalier Vaglia sotto l'epoca de' 10 Settembre perduto anno 1846, registrato in quell'ufficio a 28 Novembre dello stesso anno Vol.° 130, n.° 1.° foglio 66 retto Cas.° 6.° num.° p.° 5597=per grana venti della Cananea al Sig. Barone D. Antonio Forcella. Proprietario domiciliato nel pred. Comune di Silvi, onde ne abbia piena, e legale conoscenza, e non ignora il contenuto in essa per la parte che lo riguarda=Copia tanto dell' ordinanza suddescritta quanto del presente atto da me collaz° e firmato, ho lasciato al Domicilio del Sig. Barone D. Antonio Forcella, consegnandola nelle mani del suo domestico per nome Cassiodoro Pacchione.
Il costo dell'atto e copia di esso = 19
Carta da bollo fogli 3 = 18
Registro, e repertorio = 14
Iscrizione della presente ordinanza = 35
Viaggio = 56
--------------
Totale 1.42
Firmato : Marcant. Pisciella Usciere.
N.° p.° 444—Firmato in Altri lì 31 Maggio 1847--Vol. 38, n.° 4.° fol, 48 v.° Cas.° 7: per grani dieci=10=Il Ricevitore Bindi=[21]
Per copia conforme
Il Cancelliere ,
1° Pier Luigi de Berandinis
( BOLLO )
Visto
Il
2°
Eletto ff.
da
Sindaco
Franceso Paolo
Valentini
Allegato 6 -
COMUNE DI FARINDOLA
Dimostrazione degli introiti ed esiti pel servizio forestale dal 1879 al 1885
1879 |
Introito |
Esito |
||||
1 |
Dalla vendita della 4a Sezione di taglio |
1000 |
00 |
>> |
>> |
|
2 |
A Nardi Marcellino pel distacco della 5aSezione |
|
|
|
|
|
3 |
Al Sotto-Ispettore forestale per simile Oggetto |
|
|
|
|
|
4 |
A Serafini di Franc.pel bollo delle Piante |
|
|
|
|
|
5 |
Ad Antonio Barbarossa per
vitto al Sotto-Ispettore
|
|
|
|
|
|
6 |
A Vincenzo Frattarola, Enrico
Frattarola e Vincenzo Salvitti per servizi
straordinari al bosco
|
|
|
|
|
|
7 |
Ad Augusto Fratttaroli
comandato al Bosco |
|
|
|
|
|
8 |
A
Francesco Coltella idem |
>> |
>> |
6 |
00 |
|
9 |
A
Nardi per la mappa del bosco
|
>> |
>> |
114 |
00 |
|
10 |
Allo
stesso per verifica confini
|
>> |
>> |
12 |
00 |
|
11 |
Stipendio alle Guardie
|
>> |
>> |
1080 |
00 |
|
|
Totale
L. |
1000 |
00 |
1339 |
90 |
|
1880 |
|
|
|
|
||
1 |
Vendita della 5a Sezione |
400 |
00 |
>> |
>> |
|
2 |
Alla Provincia pel mantenimento dei Boschi |
|
|
|
|
|
3 |
Stipendio alle guardie |
>> |
>> |
495 |
00 |
|
4 |
A Vincenzo Salvitti per custodia |
>> |
>> |
45 |
00 |
|
5 |
Antonio Barbarossa per visita al bosco |
>> |
>> |
6 |
80 |
|
|
Totale
L. |
400 |
00 |
1028 |
88 |
|
1881 |
||||||
1 |
Dalla sezione di taglio-Nulla introitato |
>> |
>> |
>> |
>> |
|
2 |
Custodia dei boschi- Ratizzi |
>> |
>> |
890 |
00 |
|
|
Totale
L. |
>> |
>> |
890 |
00 |
|
1882 |
|
|
|
|
||
1 |
Vendita di taglio di bosco –Nulla introitato |
|
|
|
|
|
2 |
Alla Provincia per ratizzi |
>> |
>> |
962 |
54 |
|
3 |
A Quirico di Nino ed Errico Frattaroli comandati al bosco |
|
|
|
|
|
|
Totale
L. |
>> |
>> |
970 |
54 |
|
1883 |
|
|
|
|
||
1 |
Dalla vendita di taglio del bosco – Nulla introitato |
|
|
|
|
|
2 |
Alla
provincia per ratizzi
|
>> |
>> |
890 |
00 |
|
3 |
Indennità al Sotto-Ispettore forestale
|
>> |
>> |
23 |
20 |
|
|
Totale
L. |
>> |
>> |
913 |
20 |
|
1884 |
|
|
|
|
||
1 |
Vendita di taglio del bosco – Nulla introitato |
|
|
|
|
|
2 |
Spese per la custodia dei boschi |
>> |
>> |
890 |
00 |
|
3 |
Ad Antonio Cirone per assistere il Sotto Ispettore forestale |
|
|
|
00 |
|
4 |
Al Sotto-Ispettore forestale per di Staccare due Sezioni |
|
|
|
70 |
|
|
Totale
L. |
>> |
>> |
911 |
70 |
|
1885 |
|
|
|
|
||
1 |
Dalla vendita della Sezione di taglio |
1700 |
00 |
>> |
>> |
|
2 |
Alla Provincia per custodia forestale |
>> |
>> |
916 |
63 |
|
3 |
Perdita del pascolo |
>> |
>> |
500 |
00 |
|
4 |
Spese di perizia |
>> |
>> |
100 |
00 |
|
5 |
Spese di sorveglianza al taglio |
>> |
>> |
150 |
00 |
|
|
Totale
L. |
1700 |
00 |
1666 |
63 |
RICAPITOLAZIONE
|
|
Introito |
Esito Spese diverse |
Fondiaria |
|||
Anno |
1879.
. . . . .L. |
1000 |
00 |
1339 |
90 |
1200 |
00 |
id. |
1880.
. . . . .>> |
400 |
00 |
1 028 |
88 |
1200 |
00 |
id. |
1881.
. . . .
>> |
>> |
>> |
890 |
00 |
1200 |
00 |
id. |
1882.
. . . . .>> |
>> |
>> |
970 |
54 |
1200 |
00 |
id. |
1883.
. . . . .>> |
>> |
>> |
913 |
20 |
1200 |
00 |
id. |
1884.
. . . . .>> |
>> |
>> |
911 |
70 |
1200 |
00 |
id. |
1885.
. . . . .>> |
1700 |
00 |
1666 |
63 |
1200 |
00 |
|
Totale |
3102 |
00 |
7720 |
85 |
8400 |
00 |
Esito totale. . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . L |
16120 |
00 |
Dedotto l’introito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L |
3100 |
00 |
Resta perdita. . . . . . . .. . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . .L. |
13020 |
00 |
Divisa sopra gli anni 7
contemplati si ha la perdita annuale di . .L. |
|
|
Allegato 7 -
SPECCHIO delle rendite patrimoniali del Comune, nell’anno 1887, di fronte ai pesi di detto anno
Rendite
patrimoniali |
Pesi |
||||
1. Fitto Terreni L 2. idem del Molino e
Gualchiera
3.Prestazioni per godimento di beni in natura 4. Censi e canoni. |
4300 1265
3000 2300 |
00 00
00 00
|
1.Fondiaria Terreni (Ruolo principale e suppletivo) 2.idem Fabbricati id. id. 3.idem Ricchezza Mobile 4. Ratizzi pel servizio forestale . 5. Al Comune di Penne per ratizzi Mandamentali arretrati 6. Al Ricevitore del Registro di Penne per mano morta 1° semestre 1887 7. Al Ricevitore del Registro di Penne per mano morta 1886 8. Al Ricevitore del Registro
di Al 1886 9.Rattizzi pel mantenimento
Projetti 10. Ricchezza mobile sul debito Caponetti |
3240 206 956 976
342
1724 761
964 |
2 21 29 21
38
11 67 |
Totale entrate |
10865 |
00 |
Totale pesi |
10939 |
83 |
[1] Giace
Farindola tra i gradi 42 e 43 di
latitudine ed i gradi 31 e 32 di longitudine,
dal meridiano dell'isola del Ferro.
È paese montuoso. Confina con Castel del Monte
in provincia d'Aquila, con Bacucco, Penne,
Montebello, Civitella Casanova. Conta. 3400
abitanti. Dista da Penne Km. 13, da Aquila Km.
42 per la montagna. Possiede il varco più
depresso e più breve della traversata
Appenninica per Aquila e Roma, chiamato Varco di
Sciella alto m. 1731 sul livello del mare.
Contiene anche le fresche sorgenti del Tavo nella
Conca d'Angri, predestinata a formare il lago
omonimo; luogo saluberrimo ed incantevole,
anticamente abitato, ove vorrebbesi ora
impiantare la Latteria sociale.
[3]
Marziale
decanta il cacio dei Vestini, (lib.13) e Polibio
riferisce che Annibale pervenuto nei nostri
luoghi marittimi seppe trarre profitto
dall’opulenta e fertile provincia (Storia di Palma)
[4]
Questa
miniera fu esplorata anni sono da Ingegneri
inglesi a cura del Deputato De Cesaris di buona
memoria, i cui risultati furono pubblicati nel giornale della provincia e si riassumono in ciò che la
miniera potrebbe occupare 400 operai per
30 anni di lavoro continuo.
[5]
È a deplorarsi che la stampa, nei piccoli
centri, sconfessando la propria missione
civilizzatrice, si presti talvolta agli sfoghi
irosi dei partiti ed
alle
personalità ammantate di bene pubblico.
Il progresso morale politico la farà accorta
della convenienza di mantenersi sempre
circospetta e saggia, per non far contro al bene
che declama.
[6] Vedi in calce Allegato1°
[7]
La morte del Caponetti padre costò al Comune non
meno di L.8 mila, poiché egli protestava a
tatuti che giammai avrebbe disonorata la sua
famiglia col pretendere un interesse usuraio,
mentre il 24 per cento lo aveva voluto nel
contratto a solo fine di tenere a dovere il
Comune…….
Quando ti sarà turbata l'anima santa, o
Pasquale, pel fatto contrarlo ! . . .
[8]
Veggasi in calce Allegato 2° Specchio delle
passività pagate nel corso dall'anno. « Cause
del deficit L, 13,000 > Allegato 3.°
[9]
Non ancora fu
chiusa la causa dell'ultimo sequestro fatto
ai Farindolesi di oltre due mila lire di
grano che un Esattore fingendo di non conoscere
che quel territorio fosse di Farindola, col
pretesto di fondiaria non pagata, fra i due
litiganti, egli si prese tutto, spogliando i
poveri Farindolesiche non avevano nè
colpa nè peccato.
Le spogliazioni all'ombra della legalità son peggiori dell'assassinio e dovrebbero essere represse per non far credere al popolo che perduri il tempo delle astruse violenze
[10] Vedi l'opuscolo : La Spogliazione dei Farindolesi (Tip. Scalpelli —Teramo 1880), che fu causa del turpe scritto la Rupe Tarpea, di cui è parola al capo 1. Turpissimo, che non potevasi scrivere da chi aveva in animo un senso appena di pulitezza, coscienza, dignità e non fosse stato più nero degli animali neri. Una jena scovata dalla sua tana non poteva mandare più feroci latrati ; tutto perché la trama era messa allo scoperto a bene di Farindola.
[11] I turbolenti di natura sono poveri alienati di mente pei quali la carità cittadina ha disposto i manicomi. Ora non comprendo perchè la civiltà moderna li tolleri e per di più abbia d'affidar loro le redini del governo civile o religioso da far impazzire i vivi ed i morti ! Evviva il progresso !
[12]
Veggasi in calce
il titolo Allegato 4. che, pel suo valore,
espressamente si riporta. Da esso si vedrà
chi erano i veri usurpatori, e se non fa infamia
lo spoglio dei poveri Farindolesi e le
tribolazioni avute, mentre il documento che
è del 1878
offre prove inoppugnabili del diritto di Farindola.
Fu per siffatte prove che nel 1812, incoato lo
stesso giudizio, fu subito abbandonato.
L'incartamento si
conserva nell'archivio provinciale.
[13]
Vedi in calce Allegto 5,
[14] I documenti sono — Una pianta topografica del 1812 — Un verbale ufficiale di deposizioni del 1802. L'estensione ceduta risalterebbe di Tomoli 150 circa.
[15]
Il fatto della dispersione di tanti documenti
dall'ufficio e del disordine procurato degli
incartamenti, basterebbe a far condannare
all'espulsione chi la Legge rende responsabile;
poichè
è
proprio all'ombra del disordine delle carte che
si compie ogni impresa
alle
spalle dei poveri Comuni.
[16] Vedi in calce Allegato 6.°
[17]
Di nove processi incoati da oltre un anno, senza
dei successivi, non uno ebbe fine. Direbbesi che
i birboni, come gli ubbriachi, son protetti
dalla fortuna. Se non che la reazione che genera
l'impunità
è un
dissolvente sociale.
[18] Alleg. 7—Specchio delle imposte pagate nel 87 di fronte ai redditi patrimoniali dello stesso anno
[19] Si stampa come sta scritto
[20]
È questo il
preciso confine che si tiene attualmente,che si
è
sempre tenuto e che l'avversario contesta
pretendendo di estendersi fino a Collesecco e
Colle S. Cecilia, mentre questi colli
appartengono a Farindola, come risulta pure dal
Catasto.