Farindola:
elementi di storia
Ferdinando Buccalaro | Vincenzo Barbieri | Stanislao Cretara |
La replica del testo in formato digitale conterrà, sicuramente, degli errori dovuti sia all'operazione di parziale traslitterazione del testo, sia ai consistenti ricorsi il latino. Vogliate scusare per gli errori che spero, pian piano, di eliminare, anche su suggerimento dei lettori. Grazie della collaborazione.
Possiede
la Città di Penne un Molino nel Territorio Demaniale dell’Università di
Farinola, che dà in affitto per tumoli circa 360 di grano l’anno, né se ne
fa il titolo. Per antica tradizione però si ha, che sia stato della suddetta
Università, tanto vero che li di lei Camerlenghi son franchi dal peso della
mulitura. Con tal possesso ha preteso la mentovata Città, che il Molino sia
feudale col diritto di proibire a’ Naturali di Farinola di potere in altri
molini macinare il frumento, e di poterne altri per loro proprio
uso costruire. Ma per quanto abbia io esaminati gli Atti della
controversia su tal punto per 48 anni agitata nel Tribunal della Regia Camera,
non ho potuto col corto mio intendimento rinvenir ragione, per cui il Molino
della Città di Penne, alla quale altro non fu conceduto che la semplice
giurisdizione civile e criminale, possa, o debba esser feudale, qualora né per
Real Concessione, né per tassa in Cedolario, né per pagamento di Quindemii
di tal natura apparisce.
Anzi al contrario lo ha la medesima enunciato
per burgensatico e allodiale; come tale l’ha obbligato con pubblico istrumento
a’ suoi creditori; e, avendolo rilevato nella formazion del Catasto di detta
Università di Farinola, ne ha pagata, e ne paga la bonatenenza. E quindi non so
intendere su qual fondamento appoggia Ella l’altra strana pretensione di
esserv’ingiunto il jus proibitivo, senza la menoma apparenza di qualità
feudale, senza dimostrazione di Privilegio, né prova di legittima prescrizione,
o di vetusta consuetudine; come colla narrazione dè fatti darò a divedere.
Nell’anno
1728 essendosi instato dall’Università di Farinola sottrarsi non solo
dall’indebito jus proibitivo preteso dalla Città di Penne di poster i di lei
Naturali andare a macinare il frumento in quei Molini, che meglio loro fosse
paruto, e piaciuto, e di poterne altri per proprio uso costruire; ma di
sottoporre il Molino di essa Città costruito nel Territorio demaniale di
Farinola, come burgensatico e allodiale, al pagamento della bonatenenza, ne fu
introdotto giudizio nel Tribunal della Regia Camera
[1].
Si commise alla Regia Udienza di Teramo di proveder di giustizia sull’esposto,
intese le parti; e di ordinare alla Città di Penne di esibire tra 15 giorni il
titolo del preteso jus prohibendi [2].
Alla
divisata istanza, e all’ordine della Regia Camera si oppose la Città di
Penne, con asserire: Che possedeva il menzionato Molino col jus
prohibendi come corpo feudale, di cui sene trovava in possesso ab
antiquo et ultra centenariam; talchè non era stato mai descritto in Catasto
dell’Università di Farinola, alla quale non aveva pagata mai bonatenenza. E
quindi chiese non esser molestata,
ed esser mantenuta in tal possesso
[3].
Ma
ripetendo l’Università di Farinola le cose prima dedotte, ragionatamente
evacuò quanto dalla Città di Penne si era asserito. E instò ordinarsi di
essere lecito poter edificare nel proprio Territorio uno, o più Molini per
maggior comodo dè Naturali; senzachè la Città suddetta avesse potuto
impedire, e vietare a’ medesimi di macinare il loro grano in altri Molini
[4].
E
in discussione delle vicendevoli cose dedotte dall’Avvocato Fiscale
Santoro nel dì 15 Marzo 1729 si fece la seguente istanza: Fiscus, partibus auditis, visis praesenti comparitione, aliisque per
utramque partem praesentatis, et omnibus actis, quod Caput Molendini instat,
quod magnificus Rationalis Regii Cedularii referat occurentia. Et interim
UNIVERSITAS CIVITATIS PINNARUM SE ABSTINEAT A PRAETENSO JURE PROHIBENDI
[5];
a tenore della quale nel dì I Aprile dello stesso anno fu interposto Decreto,
anche intese le parti, dal Commissario allora Presidente de Maria ordinante: Magn.
Rationalis Commissarius Regii Cedularii referat occurrentia; Et interim
UNIVERSITAS CIVITATIS OINNARUM SE ABSTINEAT A PRAETENSO JURE PROHIBENDI
[6].Ed
essendosene gravata la Città di Penne con istanza di contrario imperio
[7]
l’Università di Farinola ne produsse supplica di referat in Regia Camera ad finem confirmandi [8].
Ma non si diede provvidenza alcuna sino a che non si formò l’ordinata
relazione.
Il
Razional Carideo Commessario del Regio Cedolario nel dì 6 Maggio del detto anno
[1729] avendo data fuora la Relazione ordinatagli, si fè carico delle
pretensioni dell’una parte e l’altra, e di una copia di Diploma del Re
Ferdinando colla data di Sarno del dì
E
propostasi la Causa in Regia Camera nel dì 28 Giugno 1729, fu confermato il
precitato Decreto del dì 1 Aprile interposto dal Presidente de Maria: QUOD
CIVITAS PINNARUM SE ABSTINEAT A PRAETENSO JURE PROHIBENDI
[11].
Non
acquetossi la Città di Penne, ma impugnando tal Decreto, instò rivocarsi loco
restitutionis in integrum, anche perché colle diligenze praticate erasi
rinvenuto l’Istrumento della compera da lei fatta della Terra di Farinola fin
dall’anno 1418 cole supposte prerogative necessarie, e in particolare colle
giurisdizioni, acque, corsi di acque, e Molini
[12];
in virtù delle quali, suppose, restar chiarito, e confermato l’antico
possesso, in cui essa Città si ritrovava coll’enunciata facoltà
[13].
Ma
poiché giammai non fu deciso su la qualità del cennato Molino, se feudale o
burgensatico fosse, ragionevole stimò l’Università di Farinola, precedente
le dovute citazioni agli Amministratori della Città di Penne, sottoporlo nel
1745 a tassa nella formazione del general Catasto, facendo uso di ciocchè
nelle Reali Istruzioni viene stabilito nel Cap. XII della par. 2 cioè: Si prescrive, che tutti quei beni, per cui i Baroni non han pagati
Rilevj, devono nella formazion del Catasto, e della Tassa reputarsi per
Allodiali, e Burgensatici; e dovranno per essi i Baroni pagar la tassa. Sicchè
se il Feudatario pretende, che un tal Fondo sia feudale, deve produrre la fede
del pagamento del Rilevio per lo medesimo. Non esibendosi, non dovrà il
Possessore essere immune dal pagamento della tassa a benefizio dell’Università.
E se mai si pretende, che per risparmiarsi il pagamento del Rilevio siasi fatta
frode al Fisco, e non siasi alcun Corpo feudale denunciato, avrà ciò bisogno
di discussione, ed esame, e dovranno le Parti ricorrere nel Tribunal della Regia
Camera, la quale, inteso il Feudatario, e’l Regio Fisco da una parte, e
dall’altra l’Università interessata, deciderà della qualità o feudale, o
burgensatica del fondo conteso, non impedito intanto il pagamento della tassa a
benefizio dell’Università per quei Corpi, per cui Rilevio non si giustifica
essersi pagato alla Regia Corte. Imperocché avendo la suddetta Città
rivelato possedere il menzionato Molino dato in affitto per salme 120 di grano
valutate per duc. 240, fu la medesima tassata per once 766,20
[14].
Su
tal fondamento, quanto vero tanto stabile, ottenne l’Università di Farinola
Provisioni dalla Regia Camera nel dì
Avverso del qual decreto da Farinola ne fu
prodotta istanza di gravame
[17]
ed indi supplica di referat in Regia
Camera ad finem revocandi
[18],
come quello, che fu per diametro
contrario alla determinazione trascritta nelle Reali Istruzioni.
Ed
essendosi di nuovo in virtù di Decreti della Regia Udienza di Teramo proceduto
al sequestro di altro grano sistente nel Molino, con altre Provisioni del
Presidente di Crescenzo del dì
Ma
non potè conseguire l’intento, poiché dal
Ma
comechè dalla Città di Penne si è
proccurato sempre sotto varj pretesti inquietare tanto l’Università di
Farinola, quanto quei Naturali, per li quali, lusingandosi di opprimerli, poter
ella esercitare quel dritto proibitivo, che per nessuna ragione le appartiene;
ha stimato detta Università dimandare la spedizion della Causa, col riferirsi
in Regia Camera la supplica della restituzione in
intrgrum prodotta da Penne fin dal 1739 avverso il Decreto col quale fu
ordinato: Quod Civitas Pinnarum se
abstineat a praetenso jure prohibendi
[21]
; e fu tal petizione dall’Illustre
Signor Conte Coppola Presidente Commissario co Decreto del dì 6 Febbrajo di
quest’anno 1776 si è detto: Respectu praetensorum tam pro parte Universitatis Terrae Farinulae, quam
pro parte Civitatis Pinnarum moneantur Partes ad audiendam provisionem faciendam
per Regiam Cameram
[22].
Del
qual Decreto non solo ne spera l’Università
di Farinola la conferma; ma che abbia eziandio ad ordinarsi di esserle
lecito di edificare nel proprio suolo, e sulle acque, che nascono e corrono nel
proprio Territorio, quei Molini, che meglio a lei, ed a’ suoi Naturali parerà,
e piacerà, senza potern’essere da chicchessia impediti
[23].
In
dimostrazione dell’assunto colla scorta degli Atti, e delle leggi farò vedere
apertamente: I. Che il Molino della Città di Penne sito nel Territorio di
Farinola sia Corpo burgensatico e allodiale, e come tale soggetto al pagamento
della bonatenenza. II. Che se non
fosse, siccom’è, allodiale, non compete a detta Città jus di proibire a’
Naturali di Farinola di poter macinare in altri Molini, e di costruirne degli
altri.
In
cui si dimostra, che il Molino della Città di Penne sito nel Territorio
dell’Università di Farinola sia Corpo allodiale e burgensatico, e come tale
soggetto al pagamento della bonatenenza.
La
Città di Penne, guardando il pessimo stato di sua causa dopo l’interposizione
del Decreto della Regia Camera, con cui fu ordinato, quod se abstineat a
praetenso jure prohibendi, che non fece, che non disse, che non oprò, per
ottenere la rivocazione! Lo sa bel ella, che millantò di averle si fatta mossa
dell’Università di Farinola costato il dispendio di duc. 3000. E conoscendo,
che niente le giovava il Privilegio di Concessione del Re Ferdinando, in cui
affatto menzion non si facea del Molino, esibì l’istrumento di compera, che a
dì 12 Aprile 1418 disse avere fatta da D. Giovannella de Burgo del Feudo di
Farinola, con assenso della Regina Giovanna II
[24].
E non giovandole né anche tale scrittura, come quella, che non dimostrava né
generale, né particolare acquisto del Molino, onde la qualità feudale del
medesimo dimostrata si fusse, proccurò, sebbene in vano, giustificarlo con
dire, che le acque, colle quali il Molino macinava, eran feudali.
All’incontro
per parte dell’Università di Farinola con valevolissime prove dimostrossi il
contrario. Ed ecco come.
Essendosi
sulle istanze di Farinola commesso al Regio Percettor Provinciale d’informarsi
della qualità dell’acqua del Molino di Penne, e riferire alla Regia Camera[25];
riferì costui da Penne in data dè 21 Ottobre 1729 “Di avere appurato con
deposizioni giurate di più Testimoni delle Terre di Montebello, e di Colèra,
che confinano con quella di Farinola; li quali avean concordemente deposto: Che
venga macinato il Molino di Penne dal fiume denominato Tavo; il quale nasce in
Territorio dell’Università di Farinola; e continuando fa macinare il divisato
Molivo posseduto da detta Città; da dove proseguendo porta un tal beneficio non
meno alli Molini siti in Territorio di Penne, che a quelli delle Terre di
Loreto, Collecorvino, Spoltore, ed altri fino al mare”
[26].
La
Regia Udienza Provinciale di Teramo in esecuzione di Dispaccio riferì in data dè
24 Novembre dello stesso anno 1729 al Vicerè di quel tempo “Che i Naturali di
Farinola da tempo immemorabile erano stati sempremai soliti andare a macinare il
grano, ed altri commestibili o nel Molino della Città di Penne, o in altri; in
guisa che dipendea dal loro arbitrio e volontà servirsi o dell’uno, o degli
altri, senza essere stato loro giammai vietato. Tanto vero che da circa 30 anni
ritrovavasi nel distretto dell’Università di Farinola un altro Molino, che da
detto tempo in poi era rimasto diruto, e immacinabile, e possedeasi dal fu
Andrea Romerio della Città di Penne; e che la maggior parte dè Naturali di
Farinola con tutta libertà andavan di continuo a macinare in quello il grano
senza proibizione veruna; e dopo la distruzione del medesimo erano andati al
Molino di Penne, ed alcuni anche in altri Molini a lor piacimento per mero lor
comodo, perché era più vicino alla Terra di Farinola, come a dire un quarto di
miglio. La proibizione cominciò nel 1724, tempo in cui l’Università di
Farinola mosse lite alla Città per altre cause; tra le quali per alcuni danni,
che i Cittadini di Penne inferivano nel bosco, e montagna di Farinola; motivo
per cui detta Città fè pubblicar Bando, col quale si proibiva a’ Naturali di
Farinola di poter macinare in altri Molini; che tosto fu rivocato con ordine di
essa Regia Udienza; da cui fu emanato altro Bando pubblicato in Penne, di esser
lecito a’ Farinolesi di poter macinare il loro grano in quei Molini, che fosse
stato loro più a grado...”.
Riferì
ancora “ Essersi verificato, che l’acqua nasce nel Territorio demaniale
della Terra di Farinola, e propriamente nel luogo chiamato la Montagna di
Farinola; scorrendo abbondantemente da un fonte detto Angre; diramandosi in un
rivo scende in giù per l’anzidetta Montagna fino alla distanza circa un mezzo
miglio, là dove unirsi con altr’acqua, che sorge, e scaturisce nel luogo
nomato Pertuso, o sia Vallecantarella; di modo che forma un fiume denominato
Tavo; il quale passa per lungo tratto sopra i Terreni di Farinola, dentro dè
quali essa Università volea costruire un nuovo Molino (siccome lo costrusse,
che poi fu il bersaglio dello sdegno dè Pennesi, li quali armata manu ne fecero
scempio) e successivamente decorrendo rendea macinante il Molino di Penne, e
diversi altri siti nel Territorio di Farinola”
[27].
Sul
ricorso della Città di Penne, cui dispiacquero gli ordini emanati dalla Regia
Udienza
[28]
con decreto del Presidente Ruoti del dì 27 Gennajo 1730 si provide: Citra
praejudicium jurium ambarum partium et c. constito de solito circa jus moliendi
tantum, Regia Audientia Provincialis illud observare faciat
[29].
L’esecuzione de’ quali ordini con
altro Decreto del Presidente Odoardi del dì 14 Agosto fu commessa al Regio
Uditore D. Antonio Tardioli
[30].
Il quale, in tal dipendenza procedendo ancora in obbedienza di Dispaccio del
Viceré, avendo presa l’informazione del solito,fè Decreto sulla faccia del
luogo in data dè 17 Ottobre dello stesso anno 1730: Visis Provisionibus Regiae Camerae Summariae expeditis sub die 14 elapsi
mensis Augusti currentis anni 1730; Informatione capta pro observantia earundem,
ex qua conflat Cives et homines Terrae Farinulae solitos fuisse molere frumentum,
et alia victulia in Molendinis ad eorum libitum; iidem Cives utantur eorum jure
in molendo frumentum, et placitis; nec turbentur a solito praedicto sub paena
ducatorum mille Fisco Regio, servata forma dictarum Provisionum; et expediatur
ordo in forma. E speditine gli ordini a’ dì 3 Novembre, ne furono
personalmente notificati li magn. Del Governo della Città di Penne nel dì 10
dello stesso mese
[31].
E quantunque dalla Città di Penne proccurato si fosse in appresso di articolare, e provare così la qualità feudale del Molino col jus di proibire a’ Naturali di Farinola di andare ad altri Molini, che di costruirne altri per uso proprio, come dall’esame preso dal Caporuota della stessa Udienza di Teramo D. Achille Forlofia [32]; e in seguela a’ 20 Decembre 1731 avesse ottenuto decreto profferito domi dal Presidente Santoro: Quod Civitas Pinnarum manuteneatur in possessione, vel quasi juris prohibendi Molendini, quod possidet in Tenimento Terrae Farinulae juxta informationem, donec aliter et c. [33], rimase non per tanto di nessun vigore; poiché ne fu portata dall’Università di Farinola istanza di contrario imperio [34], ed indi supplica di referat in Regia Camera ad finem revocandi [35]; per esser nullo l’esame, e nullo il decreto; non solo perché tal decreto non poteasi interporre domi, e con esso distruggersi il Decreto interposto per Regiam Cameram a’ 28 Giugno 1729, col quale si era ordinato: Quod Civitas Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi [36], che giammai da esso Tribunale non si era rivocato; ma anche perché detto esame, sul quale il precitato decreto fu appoggiato, irregolarmente fu interposto in tempo, che la Regia Camera non poteva ad atto alcuno procedere per la questione, che pendea nel Consiglio Collaterale, se in tal causa avesse avuto a procedere il S. G., o il Tribunal della Camera.
Per
intelligenza de’ fatti fa duopo sapersi: Che il Caporuota Forlofia, per li
maneggi praticati dalla Citta di Penne, a Gennaio del 1730 portatosi in Farinola
con mano armata, senza alcuna cognizion di causa distrusse una fabbrica da
quella Università fatta nel proprio suolo, col pretesto di dover quella servire
ad uso di Molino. Avendone perciò fatti l’Università de’ ricorsi in Regia
Camera
[37],
dal Presidente Ruoti con Provisioni spedite in data de’ 4 Febbrajo del detto
anno si ordinò al Forlofia di dover riferire sull’esposto, con render conto
con quale autorità, e a che fine, e per qual motivo avea fatta cotal fabbrica
demolire; con liquidarsi similmente a quanto era asceso il danno da tal
demolizione cagionato; per prendersi dalla Regia Camera quegli espedienti, che
si sarebbero stimati necessarj, ed opportuni
[38].
Ma la prepotenza di Penne fe’ rimanere ineseguiti gli accennati providissimi
ordini. E quindi fu, che il Forlofia rimase in dispetto, e nemico di Farinola.
Pe’l
desiderio di veder l’Università di Farinola terminata una volta una
controversia, che da tre anni pendea nel Tribunal della Camera, dove per la
molteplicità delle Cause fiscali non ne avrebbe potuto che di la a molti anni
vedere il fine, pensò ricorrere nella Giunta del buon Governo delle Università
del Regno, e deducendo tutte le gravezze, che se le inferivano dalla Città di
Penne, chiese in essa differirsi. Ed essendovisi formati più atti, si provide: Respectu
Capitis prohibendi Molendini Civitatis Pinnarum Partes adeant Judicem
competentem
[39].
In
vista di tal Decreto ricorse Farinola nel Collateral Consiglio, e domandò
ordinarsi di dovere nella divisata causa procedere il S. G., che credè il
Giudice competente; poiché trattatasi di causa tra parti, dove nessuno
interesse vi aveva il Fisco
[40].
Ed essendosi provisto nel dì 24 Gennajo 1731: Intimetur Fisco Regalis
Patrimonii, et Parti
[41],
ne fu notificato il Mag. Proccurator di Penne
[42]
il quale instando doversi continuare a procedere in Regia Camera per
l’articolo della pretesa feudalità, ed avendosi con sua istanza inerito il
Fisco
[43],
nel dì 4 Maggio provide: Super articolo
feudalitatis Regia Camera Summariae continuet in procedendo
[44].
Non
poteasi dal Tribunal della Camera pendente la decisione da farsi sulla question
del Tribunal procedere ad atto alcuno dal dì 24 Gennajo al dì 4 Maggio 1731. E
pur si vide il contrario; Imperocché chiestasi dalla Città di Penne providenza
su di un lungo ricorso
[45],
dal Presidente Santoro con decretazione del 26 Gennajo si disse: Veniat
Actuarius certioratis partibus ctastina die Sabathi
[46].
E notificatosi al Mag. Proccurator di
Farinola l’appuntamento nel dì 27, senzachè segli fosse lasciata copia del
libello, com’era di dovere, per poter esser quegli inteso di qual cosa aveva a
trattarsi nel contraddittorio; e non ostantechè avesse il medesimo replicato
non potervi per quello stesso giorno intervenire, per essere incaricato di altri
affari precedentemente appuntati, e si fosse offerto pronto per lo giorno
susseguente del lunedì 19
[47],
dal presato Ministro però si volle nello stesso dì dè 27, senza sentire
l’Università di Farinola nelle
sue ragioni, dar la providenza. E con un decreto domi
prescrisse tanto quanto avrebbe potuto il Tribunal della Camera definir con
una sentenza.
Con
uno spirito proprio di un Reggente di Collaterale [ qual prevedea forse dover
essere in appresso] distrusse quanto si era fatto da due Regj Ministri in
esecuzione degli ordini della Regia Camera, e del Viceré; poiché disse: Suspensis
omnibus actis informationum captarum tam per Mag. Regium Capus Aulae
Regiae Audientiae Tharami, quam per Mag. Regium Auditorem Tardioli; Regia
Audientia Provincialis capiat interum informationem
de solito respectu juris moliendi in actis dedecti ser. ser. et partibus auditis,
et faciat observare solitum praedictum servata forma decreti interpositi per
Dom. Praesidentem Ruoti, et Provisionum vigore eiusdem expeditarum, donec aliter
per Regiam Cameram, sive per infrascriptum Dom. Causae Commissarium fuerit
provisum vigore dictae informationis capiendae
modo quo supra. Et pendente dicta informatione, citra praejudicium jurium
partium, et per modum provisionis, servetur, quod servabatur
tempore litis
motae sub die 10
mensis Junii 1728.
Et eadem Regia Audientia sic
exequi faciat
[48].
E
quantunque in quello stesso giorno dè 27 dal Mag. Proccurator in Farinola
[che scorto l’impegno del Ministro sopragiunse in tempo, che fu
profferito il decreto] si fosse presentata istanza di gravame, colla quale si
domandava quello contrario imperio rivocarsi
[49];
pur non ostante con conculcazione di atti, e con manifesta affettazione, senza
essersi voluto farlo notificare, soggiunse il nominato Presidente di sua mano
sotto il decreto: Et expediantur
Provisiones
[50];
siccome furono immediatamente spedite
[51].
Questo
irregolarissimo decreto fu la base di tutti gli altri decreti, che in prosieguo
s’interposero. Né valse a impedirne l’esecuzione la ragione, la giustizia,
perché la povera Università di Farinola Rimase sempre conculcata , ed oppressa
dalla prepotenza di Penne. Imperciocchè avendo l’Università di Farinola
presentato nella Regia Udienza di Teramo documento
della pendenza della question di Tribunale, che dovea dal Collaterale
decidersi
[52],
insieme con memoriale, col quale, prevenendola della pendenza suddetta, chiedea
sospendersi l’esecuzione di ogni ordine della Regia Camera, protestandosi in
caso diverso di nullità di ogni atto
[53],
il Regio Uditor Tardioli, in sentirne
il tenore, non volle intervenire per sua onestà a votarvi, stante
l’informazione da lui presa; siccome nel dì
27 Febbrajo 1731 ne fu
formato atto da quel Mastrodatti
[54];
e dal solo Caporuota Forlofia si disse:
Intimetur
parti adversae
[55]
protestandosene di nullità Farinola
[56].
Nello
stesso giorno dè 27 fu data dalla Regia Udienza osservanza alle precitate
Provisioni della Regia Camera, e fu commessa l’informazione al Caporuota
Forlofia con decreto dalla stesso sottoscritto; soggiungendosi quello, che nelle
Provisioni della Regia Camera non si era ordinato, cioè: Et
quod Mag. Universitas Civitatis Pinnarum manuteneatur in quasi possessione juris
prohibendi in controverso Molendino
[57].
Ma per gli atti violenti
precedentemente commessi avendolo l’Università di Farinola sospeso, con
istanza formale per tale l’allegò nel dì 15 Marzo
[58].
Ed avendovi il medesimo decretato: Lecta
retroscripta comparizione conservetur inttactis[59],
ricominciò l’esame dè testimoni
prodotti da Penne
[60].
Gli ripetè perciò nell’istesso giorno la sospenzione per atto pubblico
[61];
ed avendosene egli ricevuta la copia autentica,
e datala al Mastrodatti
per conservarsi
negli atti
[62]
continuò nel
seguente giorno dè 16 l’esame
[63].
Trasmessasi
però tale informazione presa con atti tanto conculcati, in vista della medesima
dal predominato Presidente Santoro su di altro ricorso presentato da Penne,
senza né anche sentirsi l’Università di Farinola, nel giorno 20 Decembre
1731 si profferì il sopraccitato decreto, col quale, ergendo Tribunale in sua
casa, distrusse rotondamente quanto si era per
Regiam Cameram col Decreto dè 28 Giugno 1729
[64]
ordinato; poiché laddove si era provisto allora: Bene provisum per Dom. Causae Commissarium sub die primo Aprilis
currentis anni fol. 24. la qual providenza era: Universitas Civitatis Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi
[65];
non ostante che le ragioni di Farinola
fossero in aspetto assai più favorevole, si disse per l’opposto: Moneantur
partes ad audiendam provisionem faciendam per Regiam Cameram super praetensis
pro parte Universitatis Terrae Farinulae; Et interim Universitas Civitatis
Pinnarum manuteneatur in possessione, seu quasi juris prohibendi Molendini, quod
possidet in tenimento Terrae praedictae Farinulae juxta informationem captam
vigore Provisionum expeditarum per Regiam Cameram sub die 27 Januarii cadentis
anni 1731, donec aliter per dictam Regiam Cameram, sive Dom. Praesidentem
Commissarium fuerit provisum
[66],
siccome sopra si è accennato.
Dimostratosi
pertanto di nessun vigore l’esame fatto dalla Città di Penne, e
conseguentemente nullo il decreto, che su di esso fu profferito; conviene per
l’opposito esporre quanto fu provato dall’Università di Farinola colle
deposizioni giurate di sette Testimoni maggiori di ogni eccezione ricevuti in
Aula Regiae Audientiae
[67]in
virtù di Provisioni della Regia Camera, sottoscritte dal Presidente Ram
nel dì 13 Marzo 1732
[68],
cioè: Che il Molino di Penne era allodiale, e senza jus di proibire; di sortachè
tanto l’Università di Farinola, che li suoi Naturali da tempo immemorabile
erano stati sempre soliti andare a macinare il loro grano, ed altri commestibili
in quel Molino, che era stato loro più comodo tanto nelle pertinenze della sua
Terra di Farinola, quanto nei luoghi con vicini a loro elezione, e piacimento,
senza mai esserne stati impediti, o contraddetti da persona alcuna.
Resta
ora da rispondere alla scrittura presentata dalla Città di Penne dopo
l’interposizione del Decreto della Regia Camera, col quale fu ordinato: Quod
Civitas Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi, la quale credesi
dalla medesima Città esser l’Achille dè suoi argomenti. La scrittura
prodotta contiene: Che a 12 Aprile 1418 D. Giacomo d’Aquino Conte di Loreto,
D. Francesco suo figlio, e D. Giovannella de Burgo moglie di D. Francesco
asserirono possedere come beni dotali di essa D. Giovannella immediatè,
et in capite a Regia Curia sub certo feudali servitio, seu adoba il Castello
di Farinola, e Rocchetta cum Fortellitiis,
dominibus, vassallis, vassallorum redditibus, et pertinentiis universis, terris
cultis, et incultis, pratis, silvis, nemoribus, planis, montibus, molendinis,
acquis, acquarumque decursibus, juribus, jurisdictionibus, tenimentis,
territoriis, et pertinentiis suis omnibus, quae ad dictum Castrum Farinulae cum
Rocchetta spectare noscuntur. Asserirono posseder similmente altre porzioni
di Castelli disabitati, ed altri beni burgensatici; E quelli venderono alla Città
di Penne, e per essa a Notar Antonio Maffio di lei Sindaco, e Proccuratore, cum muris, turribus, fortellitiis, domibus, possessionibus, vassallis,
vassallorum redditibus, et pertinentiis, angariis, et perangariis universis, et
omnibus, quae sunt de natura feudi, et cum juribus patronatus Ecclesiarum, per
lo prezzo di ducati 3572
[69].
E nel dì 1 Maggio 1418 dalla Regina Giovanna II vi si concedè l’assenso
coll’espressa condizione, cioè: Veris
existentibus praenarratis, natura feudi in aliquo numquam mutata[70].
Tosto
che la Città di Penne ebbe le divisate scritture, ricuperò il perduto vigore,
tanto che prima palesò non voler proseguire detta causa, e ricercava comporla,
e poi, ricusata la pace pria proposta, volle la guerra, pretendendo ricavare da
quelle, che abbia il jus prohibendi, e
che sia feudale il Molino.
Quanto
vada errato chi presume, che da tali scritture possa e dominio, e qualità
feudale del Molino, e dritto di proibire ritrarne, chi nol vede. Il cennato
istrumento non è Real Concessione, ma un contratto di compera, e vendita tra
privati, i quali non potean render feudale quel corpo, che dalla sua origine
tale non era; nam solus Rex habet facultatem alterandi qualitates rerum ex
burgensaticis in feudum, et non alius, siccome scrisse il Reggente Rovit.
Cons.67.
L’assenso
fu interposto su tale vendita, sì perche eran beni feudali, sì perche eran
beni dotali, senza il quale de jure nullo,
e invalido sarebbe stato il contratto; ma non operò, né operar potea, che i
beni burgensatici per virtù di esso divenuti fossero feudali, siccome la Città
di Penne suppone. Oltreche l’assenso fu condizionato per le parole, che in
esso osservansi: Veris existentibus
praenarratis, et natura rerum in aliquo nunquam mutata. Ma dovrebbe costare,
che vero fusse tal contratto , e vero l’assenso (poiché se ne veggono negli
atti presentare le copie esemplare dagli originali, che si disse esser
nell’Archivio di Penne[71]);
e che tale assenso sia stato tra il determinato biennio registrato.
Che
sia feudale, perche macina colle acque
supposte feudali, fa orrore sentirlo! poichè se ciò vero fosse, tutti i Molini
siti ne’ luoghi baronali sarebbero feudali; E feudali sarebbero gli altri
Molini, che la Città possiede nel suo tenimento, giacchè anch’ella
è vassalla della Serenissima Real Casa Farnese; e pure non sono feudali.
L’argomento dunque più forte della Città è quello di essersi venduta la
Terra di Farinola cum
pertinentiis, terris, molendinis et c.
E
chi non sa, che simili seguenze si appongono in questi contratti de
stilo Notariorum, anche nelle vendite de’ Feudi disabitati, pure siti
nella Puglia, ove non vi è acqua neppur per bere; e nientedimeno si dice cum
aquis, molendinis, et c., potrebbero addursene mille esempj, che per brevità
si tralasciano.
Tanto
è vero, che in detto contratto passato col Conte di Loreto, D. Giovannella de
Burgo, e la Città siano apposte de stilo;
poiché si dice cum terris cultis, et
incultis; e la Città non vi possiede né terreni culti , né inculti; cum montaneis; e la montagna è di Farinola, siccome la stessa
Farinola è Baronessa immediantè dè
Feudi in capite a Regia Curia di
Trotta, Cupoli, Peschio Albuino, e altri siti nel suo tenimento, dè quali ne
paga l’adoa, e quindemj; cum juribus
potronatus Ecclesiarum; e non vi sono juspatronati; cum jurisdictionibus ; e le giurisdizioni non possedeansi da’
venditori, ma furono concedute nel 1475 alla Città dal Re Ferdinando II; cum
angariis, et perangariis; e queste neppure furon concedute.
Avrebbe
la Città dovuto produrre l’investitura, ch’ebbe
D. Giovannella, o colui, dal quale ella ebbe causa, per osservarsi, se di
detti corpi, jussi, e giurisdizioni n’ebbero mai Concessione; poiché le
Regalie non veniunt in concessione feudi, nisi fuerint specialiter expressae, allo
scrivere di Peregrino de jure Fisci lib.I
cap.I; come sono, tributi gabelle, servizj, fiumi, vie, batter monete, beni
vacanti, angarie, metalli, tesori, saline, pescagioni. E se mai apparisse la
Concessione di tali Regalie, potrebbe anche dirsi con Cravett. Cons. 54 , e Cancer.
Par. 3 cap. 4 num. 62, che : Concessio
Castri cum montibus, pratis, pascuis, aquis et.c. talem specificationem jurium
provare contra concedentem, ejusque successores, sed non cntra tertium, qui
esset in possessione valium jurium; siccome nel caso nostro, che la Terra di
Farinola sta in possesso della Valchiera, e dell’uso dell’acqua prima della
Giovannella de Burgo. Su di che
meglio se ne discorrerà, qualora si presenterà la Concessione, che finora non
si vede. Frattanto dalla prodotta scrittura non si ha, che detto Molino sia
feudale, tutto che si dica nell’istrumento cum
molendinis.
Si
entrerebbe però in qualche dubbio, se nell’istrumento si fosse detto sub
verbo speciali: Cum Molendino sito in dicto tenimento Terrae Farinulae. E in
questo caso né anche si sarebbe fuori di speranza; poiché potrebbe
anch’essere burgensatico, come quello, che poteva essere stato edificato da
detta D. Giovannella. Onde qualora non si ritrovasse nella Concessione,
ch’ebbe la medesima D. Giovannella, poco importerebbe, che dalle parti si
fosse asserito per feudale, anche sub
verbo signanter.
Aggiungesi
di più, che il detto istrumento fa menzione di molti corpi di minor condizione,
rendita, e valore; e de Molino, ch’è un corpo di considerazione, e di rendita
in annui tumoli 380 di grano, non si fa parola. Dunque non vi era il Molino in
quel tempo, altrimenti si sarebbe descritto in quel contratto; se vi era,
possedeasi da altri, siccome è verisimile, che si possedesse dalla Università
di Farinola per la tradizione, che se ne ha. Ed è ciò tanto credibile, che
oggi giorno il Camerlengo di Farinola è franco di Molitura[72];
ma il tempo vorace non ha permesso quelle
notizie, che bisognano; non perciò vi è molto da riflettere.
La
presunzione, che il Molino sia burgensatico, e non feudale, è a favor di
Farinola, ogni qualvolta non vien descritto nell’investitura: In
dubio quaelibet res praesumitur allodialis, et non feudalis, è massima
comune presso de’ nostri DD. Riferiti da Menochio
lib. 3 presunt. 91 per totam. Dee presumersi burgensatico, perché non sta
edificato in qualche territorio feudale della Città, ma in una via pubblica, e
l’acqua passa per territorj di Particolari, e di Chiese, che a suppliche della
Città han permesso il passaggio dell’acqua; onde il Reg.
Sanfelice sul proposito così scrisse nella decis. 189 num. II: Cessat difficultas, ex eo quia praedia con vicina,
et confinantia cum bis, de quibus est controversia, sunt burgensatica; così
Rovito in rub. De feudis num.3, che
cita Isernia in cap. I num. 3 in addit. Di
più si dice, che siccome D. Giovannella possedeva altri beni burgensatici, così
può presumersi, che possedesse il Molino in
burgensaticum, qualora creder si dovrebbe, che la parola cum
molendinis abbia compreso il Molino, di cui si parla; e in questi termini
forisse Surdo nel cons. 151 num. 34 et
cons.311 num.12.
La
presunzione contraria, cioè, che il Molino fosse posseduto da D. Giovannella ab
initio acquisitionis feudi, allora militerebbe, qualora fosse descritto
nella Concessione; perché se mai fosse stato posseduto da D. Giovannella, e poi
venduto, ciò non basta per farlo presumer feudale; così argomentò lo stesso Surdo
nell’anzidetto cons.
151 num.58 cum seq.
Non
giova, che il Molino sia nel tenimento di Farinola, e che perciò sia feudale, o
possa presumersi tale; perché la massima corre respectu
jurisdictionis non autem dominii terrarum, Duran. decis. 28, Natta cons. 213; e
la ragione si è, che burgensatica possunt
annecti feudo, qualitate tamen non mutata, etiam sine assensu Domini, Rovit.
Cons. 67 n. 7; e soggiunge nel num. II:
non ex constructione facta per habentem juriditctionem, qia Castrum, sive
Palatium, est aedificatum a Barone intra fines feudi, essicitur feudale, nisi
aedificetur in solo feudali; e così scrisse Sanfelice
in alleg. decis.
Non
abbiam negli Stati antichi della Città, che abbia posseduto detto Molino, e
particolarmente in quello, che tanto accuratamente fu fatto nell’anno 1628 dal
Regg. Tappia. Anzi in quel tempo rivelò la Città possedere altri corpi, ma del
Molino non fece menzione
[73].
Dunque non fu posseduto da D. Giovannella, né da quella fu venduto, perché non
possedeasi dalla Città nel 1628 , e di tutto si disse nel divisato istrumento
cum molendinis. Quindi è, che in niun conto può presumersi feudale.
Non
sta registrato nel Cedolario dè Baroni, siccome non tassato pro
jure adoba, ma solamente in esso si deferivano le giurisdizioni, ed altri
corpi feudali. Non può dunque riputarsi feudale, siccome scrisse il Reg. Rovito cons. 67 num 5. e’l Reg.
Sanfelice decis. 189 num. 14.
Non
si è pagato giammai Quindemio alcuno; onde non può presumersi feudale[74].
E
tanto è vero, che l’anzidetto Molino non sia feudale, ma burgensatico, che
avendo la Città di Penne contratto negli anni 1587, e 1588 debito istrumentario
col fu D. Gio: Battista Fibbioni della Città dell’Aquila, per speciale
ipoteca obbligò il cennato Molino; e nell’istrumento espressamente si confessò
dalla Città di Penne, che il Molino era burgensatico; e tale
esser doveva, altrimenti non poteva obbligarsi senza Reale assenso; ed
essendosi poscia dedotto il Patrimonio dè Fibbioni nnel S.R.G. tal credito, o
sia l’annualità dovuta da Penne, fu assegnata al Collegio dè
RR. PP. Bernabiti dell’Aquila. Ed ecco il fatto:
Era
in debbito la Città di Penne a diverse persone di ducati 9500, per cui ne
corrispondea l’interesse all’8, al 9, e al 10 per 100. Pensò rinvenire
simil somma di denaro a minore interesse, e, restituendo i capitali
rispettivamente dovuti, ricomprarsi le annualità, per le quali si era a ragione
tanto alterata obbligata. Rinvenne D. Gio: Battista Fibbioni, che promise darle
i ducati 9500. Congregatosi perciò pubblico Parlamento in essa Città nel dì
24 Maggio 1587, si conchiuse doversene fare il contratto
[75].
Ne
chiese l’Università l’assenso al Viceré, e l’ottenne nel dì primo
Settembre del detto anno
[76];
e per mezzo di D. Ottavio Blasiotti Proccuratore a tal uopo costituito
[77]
ne passò l’Istrumento col Fibbioni nel dì 22 Ottobre colla promessa di
farsene dall’Università la ratifica
[78].
Promise, e si obbligò per detta somma di ducati 9500 pagare, e corrispondere
ducati 712.50 l’anno sopra qualsivoglia rendita dell’Università, et
signanter super annuo affictu, et arredamento gabellae magnae et antiquissime
vulgariter nuncupate del Quartuccio, necton
super annuis intritibus, et redditibus ejusdem Mag. Universitatis, MOLENDINI
SITI IN TERRITORIO CASTRI SUI FARINULAE, super redditibus Terragii, et
introitibus Feudi ejusdem dicti Rocca fili Adam, et
super aliis quibuscumque bonis ejusdem Universitatis
[79].
E in prosieguo, ripetendo l’istesso
obbligo, disse: Super praedictis bonis, et gabellis, una nuncupata lo Quartuccio, et
aliis bonis descriptis in dicto Mandato Procurationis, necton super aliis bonis,
et rebus quibuscumque dictae Magificae Universitatis et c., FRANCOS,
BURGENSATICOS et c. ab omni onere, redditu, angaria et c.
[80].
Il
quale obbligo l’Università di Penne con altro Istrumento del dì 5 Novembre
dello stesso anno 1587 ratificò in ogni sua parte
[81].
E i Deputati a intervenire nella stipula per parte della medesima così
dichiararono: Declaraverunt, qualiter dum
ipsa Mag. Universitas, et homines ipsius, tanquam vera domina, et patrona, et
tanquam veri domini et patroni habere, tenere, et possedere juste, realiter,
pacifice, et quiete, pleno jure, justo titulo tanquam rem propriam dictae Mag.
Universitatis, et ad tandem legittime, et pleno jure spectantem, et pertinenttem
IN BURGENSATICUM, ET BURGENSATICORUM BONARUM NATURA, AC IN FRANCUM, ET LIBERUM
ALLODIUM, nonnulam pecuniarum summam super primis introitibuus, dirictibus,
juribus, et recolligentiis annui arrendamenti gabellae magnae, et antiquissime
vulgariter nuncupate la Gabella del Quartuccio, et super annuis introitibus, et redditibus MOLENDINI ejusdem
magn. Universitatis siti in Territorio Castri sui Farinulae , super
redditibus, terragiis, introitibus Feudi nuncupati
Rocca fili Adam, et super aliis quibuscumque bonis ejusdem Mag. Universitatis
[82].
Dalle
rendite del suddetto Molino sono stati sempre pagati gli eredi del Fabbioni,
colla spiega di esser quello sito nella Terra di Farinola.[83].
Né
altrimenti si descrive nello stato discusso di detta Città di Penne; imperocché
si denotano in esso i pesi, che porta l’Università; li quali sono: Alla
Regia Corte per debito ordinario e straordinario, inclusovi il censo d’Anelli,
annui ducati 2107. 72 1/3. Alla Serenissima Real Camera per Fiscali,
Portolania, e Bagliva annui duc. 1360. E nella rubrica de’ creditori
strumentarj vien notata la partita Al Sign.
Fibboni dell’Aquila annui duc. 50
[84].
Se
il molino fosse stato feudale, avrebbe avuto a pagarne alla Serenissima Real
Camera la tangente, e sarrebbe stato descritto nello Stato egualmente, che lo
furono li Fiscali, la Portolania, la Bagliva.
Per
le acque copiose che caddero a Marzo del 1772, restò danneggiato il Capoformale
del divisato Molino; ed avendo voluto il Conduttore di quello farvi le
accomodazioni necessarie, onde avesse potuto immettersi l’acqua nella forma,
ad istanza del Camerlengo di Farinola con
Decreto di quella Corte ne fu impedito. Ricorsero perciò gli Amministratori di
Penne in detta Corte, ed, enunciando tutto ciò, dissero che il Capoformale
stava costruito né terreni del Beneficio di S. Maria, al di cui Beneficiato
pagavan essi annualmente certa quantità di grano; e chiesero rivocarsi
l’indicato ordine
[85].
Se
il molino fosse feudale, siccome han preteso sostenere gli Amministratori di
Penne, come ritrovarsi quello in terreno beneficiale, e corrispondersene al
Beneficiato l’estaglio?
E se la Città di Penne possedesse tal Molino come feudale, e col jus
proibitivo, non potrebbe né anche l’Università di Farinola posseder la Valchiera,
che indipendentemente possiede, e ne ritrae dall’affitto l’estaglio,
come si ha dallo Stato discusso dalla Regia Camera nel 1742
[86];
giacchè la stessa ragione dovrebbe concorrere e per lo Molino, e per la
Valchiera.
Esclude ogni presunzione di feudalità la confessione fatta dalla stessa Città
di Penne, quando, fattasi nel 1713 risulta fiscale in Regia Camera, per non aver
pagati quindemj de’ Corpi feudali, si transigè nel 1719 col Regio Fisco per
le sole giurisdizioni civile, criminale, e mista, pagando ducati 50 alla Regia
Corte, cui disse pagargli per le sole giurisdizioni suddette
[87].
E
per ultimo vaglia per mille prove
ad escludere la pretesa feudalità la dichiarazione fatta da essa Città nel
1745 di essere il suddetto Molino burgensatico. Imperocché sendosi proceduto
nell’Università di Farinola alla
formazion del Catasto, la Città di Penne rivelò possedere in quel Territorio
di Farinola un Molino ad acqua da macinar grano, dato in affitto a Donato
Cotellucci per salme 120 di grano, valutate per duc. 240, da’ quali dedotti
duc. 10 per le necessarie accomodazioni della mola, e del suo letto, restavano
in dilei beneficio annui ducati 230
[88].
Dall’anno
1745 sino al 1748 pagò per tre anni la Città suddetta la tassa per la
bonatenenza del Molino all’Università di Farinola, ed avendo mancato pagarla
nel 1749, a ricorso di detta Università fu ordinato dalla Regia Camera con
Provisioni del dì 17 Giugno: Esser lecito all’’Università di Farinola servirsi di sua ragione in
esigere la bonatenenza dalla Città di Penne, servata la forma del Catasto per
lo Molino sito nel suo tenimento
[89].
E in virtù di tali ordini ha sempre
fino al 1774 pagata la Città di Penne la divisata bonatenenza
[90];
quantunque avesse di tempo in tempo procurato dilatarne il pagamento sul
pretesto di esser tal Molino feudale
[91];
a cui si è sempre ragionevolmente opposta Farinola
[92];
senza essersi dal Tribunal della Camera data mai providenza in contrario.
Sicchè
raccogliendo quanto sin qui si è detto, conchiudo: Che il menzionato Molino
fuor d’ogni dubbio è burgensatico; poiché alla Città di Penne altro non fu
conceduto, che il mero, e misto imperio, e la giurisdizione civile, e criminale;
e per queste sole giurisdizioni si sono da detta Città pagati alla Regia Corte
i quindemj dall’anno 1500 in avanti; Né per tale Molino sene vede espressa
Concessione a suo benefizio, né tassa in Cedolario, né pagato alcun quindemio;
Circostanze tutte, che senza di esse non può riputarsi feudale. Anzi
all’opposto si vede, che per burgensatico l’abbia descritto, ed obbligato
detta Città; e come tale l’abbia rivelato nella formazion del Catasto di
Farinola, e ne abbia sempre pagata la bonatenenza. E quindi verificato si vede
nella presente Causa tutto ciò, che nel Cap.III
par.2 delle citate Reali Istruzioni de’ Catasti sta ordinato.
In
cui si dimostra, che se non fosse,
siccom’è, allodiale il Molino, non compete alla Città di Penne jus di
proibire a’ Naturali di Farinola di poter macinare in altri Molini, e di
costruirne altri.
Se
vero è, siccome ho dimostrato esser verissimo, che il mentovato Molino non sia
feudale, cessa ogni disputa riguardo al preteso dritto di proibire; poiché
qualora il Molino non è feudale, affatto non può considerarvisi annessa la
prerogativa della ragion di proibire, così rispetto al divieto di potersene
edificar altri, che di poter restringer la libertà di macinare il grano in
altri Molini. Ad ogni modo sia permesso far breve parola di tal pretesa ragione
di proibire, giacchè questa ha dato causa alla gran lite tra la Città di
Penne, e Farinola, che verte fin dall’anno 1728, per cui con grandi dispendj
si sono formati non meno che cinque voluminosi Processi.
A
poter la Città di Penne, utile
signora delle sole giurisdizioni civile, e criminale della Terra di Farinola,
pretendere di avere il jus prohibendi di
macinare i Naturali di Farinola in altri Molini, o di edificarne altri per loro
comodo, dovrebbe mostrare, o esserle stato conceduto con particolare Privilegio,
o averlo acquistato per mezzo di una legittima prescrizione, o consuetudine. Afflict. Dec. 338, Capyc. Latr. Cons. 110, Rovist. In Prag. 14 de Baron.,
Capibl. De Baron. In dict Progm. 14 n. 17.
Vero
è, che tra Dottori vi fu un grandissimo dibattimento, se colla concessione di
un Castello fatta dal Principe al Barone in
specie cum Furnis, Tapetis, et Molendinis, s’intendesse anche conceduto il
jus prohibendi; la comune de’
Dottori però fu di negativa opinione; che per esser più vera la tennero Cravatta
de antiq. Tempor. Part. 4 § cira praemissa n. I, Jacobin. in investit. feud § et
cum Molendinis, Bursat. Lib. I cons. 41, Rolan. A Valle lib. 3 cons. 46, Travet.
cons. 861 et 871 num. 5 et 9, et cons. 896 per totum. Ed
esser questa la sentenza più comune scrisse Tesauro, riferendo i citati Autori
nella decis. 16 n. 9 vers. contrarium;
lo sondò anche Surdo cons. 127 num. 18,
e Larrea alleg. 69 num. 23.
Questa
dissenzione tra Dottori fu poscia nell’anno 1536 sopita, e determinata dall’Imperador
Carlo V . Questo non mai bastantemente lodato Principe, volendo raffrenare la
smoderata licenza de’ Baroni, emanò la Prammatica, ch’è la 14 de
Baron., ove: Quae omnia sunt contra Subditorum nostrorum libertatem, in qua illos
divina, et humana jura conservari mandant: Volumus igitur, atque mandamus
omnibus Baronibus, et aliis utilibus Dominis,
ut libere permittant Vassallos suos
in ipsorum Vassallorum, aut aliorum furnis panem coquere, et similiter possint
granum ad molundum, et alias terendas ad quorumlibet Molendina, vel Tapeta
inducete: Exceptis illis, qui Furnos, Molendina et.c. cum hujusmodi jure
prohibendi Vassallos particolari privilegio, aut legittima praesscriptione, vel
consuetudine legittime praesccripta habent. Dunque affinché il Barone possa
pretendere di avere il jus prohibendi,
deve mostrare, o essergli stato conceduto con particolar Privilegio, o di averlo
per mezzo di legittima prescrizione, o consuetudine acquistato.
Si
vegga intanto qual particolar Privilegio, legittima prescrizione, o consuetudine
abbia la Città di Penne per lo preteso jus
prohibendi. Niuna Concessione né generale, né particolare non men del
Molino, che di altri Corpi feudali ha la Città di Penne, ma solamente la
giurisdizione civile, e criminale, a cui fu conceduto. E che sia così, costa ad
evidenza dalla Concessione, che ella tenne, la quale giammai non volle esibire,
tutto che dalla Regia Camera le fosse stato più volte ordinato, se non quando
si vide in istato di destituzione.
Vedesi
adunque, che nell’anno 1475 Ferdinando per gli ossequi a lui prestati, ed al
Re Alfonso I di Aragona suo padre da’ Cittadini di Penne le giurisdizioni
criminali concedè alla Città, e non altro: Merum,
et mixtum imperium, et gladii potestatem, et criminalem jurisdictionem, Deum, et
justitiam habendo prae oculis, per vo set vestros Officiales ubique fidelis, et
providos per eos pro tempore statuendo in praedictis Terris, seu Castris
Farinulae, et Montisbelli, ipsorumque pertinentiis, et districtibus, in ipsarum
Terrarum, seu Castrorum hominibus, civibus, incolsi, et habitatoribus imposterum
exercere. De quorum exercitio et c.
[93].
Dal
principio di detta concessione fino alla fine osservasi, che non di altro fassi
menzione se non che di dette giurisdizioni, e quelle solamente concederonsi,
senza che mai fatti si fosse menzione del Molino, o di altri corpi, né di jus
prohibendi. Quindi è, che la Città di Penne non ha per se né Concessione
del Molino, né Privilegio del jus
prohibendi.
Se
di nuovo si volge lo sguardo all’acquisto, che la Città di Penne nell’anno
1418 fece della Terra di Farinola dal Conte di Loreto, e D. Giovannella de Burgo
, nel dì cui contratto leggonsi le più volte nemtovate parole cum
molendinis, acquis et c., converrà dire lo stesso, che di sopra si è
detto, che le devisate parole si appongono de
stilo Notariorum anche alle vendite di feudi rustici disabitati, e di feudi
siti in luoghi, in cui non vi è acqua neppure per bere; siccome anche de
stilo Notariorum in tal contratto furono apposte le parole cum
jurisdictionibus, qualora le giurisdizioni furono condedute dal Re
Ferdinando alla Città del 1475, cioè 57 anni dopo, quanti ne decorsero dal
1418, che la Burgo vendè Farinola alla Città: cum juribus patronatus Ecclesiarum, e questi non vi furono, né vi
sono: cum montaneis, et sylvis, e
questi sono feudi, che Farinola, immediatè
possiede in Capite a Regia Curia,
e ne paga l’adoa, e quindemj. Resta dunque a vedersi, se ella abbia per se
legittima prescrizione, o consuetudine.
Non
vi è dubbio, che la Prammatica emanata dall’Imperator Carlo V intese quelle
prescrizioni, o consuetudini, che sin a quel tempo eransi introdotte, e che di
quelle solamente si fosse tenuta ragione. Tutto ciò fu considerato dal Reg.
de Rosa in prax. decr. civil. cap. 10 num. 80, il quale cita
Rodolf. Scradero in comment. ad l. unicam de condict. ex lege num. 124, et seq..;
così il Reggente Marciano dispur. 10 num.91,
e fu anche dichiarato con detta Prammatica nel § 28, ove: Ex
nunc in antea nullas imponant, aut imponi faciant novas exactiones, vel gabellas,
nec nova servitia, novasque angarias, aut nova onera induci faciant directè,
vel indirectè. Dunque posto che la città di Penne non può mostrar
particolar Privilegio, ha precisa necessità di far credere, che nel tempo di
detta Prammatica, avea di già legittimamente acquistata la ragione di proibire
o per legitima prescrizione, o per consuetudine. Ciò ella non ha mostrato, né
può mostrarlo; dunque resta sfornita di quella ragione, che a suo favore nascer
potrebbe dalla disposizione dell’Imperial Prammatica circa il preteso jus di
proibire. Anzi che nel § 35 più
espressamente proibisce in avvenire l’introduzione di altri jussi; e giova qui
trascriverne le parole: Declaramus etc.
nostrae Regiae intentionis non fuisse, neque esse novas inducete angarias, aut
perangarias, nec novas defensas, aut jus prohibendi aliorum Furnos, Tapetos,
Molendina etc., sede t ea tantum sub tali clausula, et concessione comprehendi,
quae tempore dictorum privilegiorum, et concessionum aut justo titulo, aut
legittima praescriptione erant.
Convinta
la Città di Penne delle già dette cose, ricorse all’intellettual possesso
immemorabile di proibire. Io replico, che tal possesso immemorabile sia a favore
dè Naturali di Farinola fin’all’ultimo stato delle cose; imperciocchè il
Comune di Farinola è stato sempre
in possesso di poter andare a quei Molini, che più gli eran comodi, e di
poterne edificare altri; e se quei Naturali sono andati a macinare nel Molino
della Città, è ciò accaduto, perché loro era più comodo. Quindi è, che
dagli atti di volontà non può cavarsene possesso, in modo che possano i
Vassali esser costretti ulterius ire al
Molino del Padrone, ancorché per immemorabil tempo andati vi fossero. E la
ragione si è, che talis accesso cum sit
merae facultatis, propterea non potest in ea cadere possessio, sine qua
praescriptio non procedat. Bartol.
In l. quo minus num. 27 de flum., Roch. de Cur. de con suet. sect. 4 cap. Fin n.
77, Surd. cons. 127, Thesaur. decis. 16, Capyc. decis. 219, Rovit. super dict.
Pragm. 14, ove: Neque in
hoc operator aliquid solitum, quantumvis antiquissimum, quia in his, quae sunt
merae facultatis, prout in hoc casu; cessante jure proibendi praescriptio nullum
habet locum, l. viam publicam D. de via publica.
Due
requisiti richieggonsi, acciò la prescrizione immemorabile abbia luogo, cioè
la proibizione del Barone, e la pazienza de’ Vassalli; e dalla acquiescenza di
essi al divieto nasce questa, così scrissero Ceppola de servitut. urb. cap. 60, Capiblanc. part. I
de Baronibus, Novar. de gravam. Vassall. grav. 58. E’ necessario
però, che il divieto, e l’acquiescenza sia stata generale.
Che
i Naturali di Farinola siano andati a macinare nel Molino di Penne, non si niega;
ma per elezione, non già per necessità; per loro comodo, non già per effetto
di proibizione. Che se tal volta, siccome spesso è accaduto, sono andati in
altri Molini, chi gli ha impediti? chi gli ha castigati? Certamente a niuna pena
han soggiaciuto.
Ma
a che sognar prescrizione, e consuetudine prima, e dopo l’accennata Prammatica
dell’Imperador Carlo V, qualora l’Università di Farinola ha articolato, e
con Testimoni d’ogni eccezione maggiori ( la maggior parte de’ quali furon
conduttori, o sian molinari del Molino di Penne, che furono esaminati nella
Ruota della Regia Udienza di Teramo, in virtù di Provisioni della Regia Camera)
ha provato: Che i suoi Naturali
siano stati sempre soliti di portare il loro grano, e le biade in ogni Molino,
che loro è piaciuto da tempo immemorabile, e in ogni tempo senza timore, o
impedimento alcuno? Alle volte nel Molino degli Armenj nel tenimento di
Farinola, prima che si fosse renduto diruto; alle volte nel Molino de’
Canonici della Città di Penne; altre nel Molino della Terra di Castiglione di
Messer Raimondo; ora in quello della Terra di Bacucco; ora in questo della Città
di Penne, che possiede nel tenimento, e territorio di Farinola; e ora in altri a
lor piacimento, senza che mai siano stati impediti, né contraddetti da persona
alcuna; che per esser il mentovato Molino di Penne situato in luogo molto vicino
alla Terra di Farinola meno di un quarto di miglio, e perciò, come più comodo
e vicino all’istessa Terra, i Naturali e abitanti della medesima, anche senza
gli animali, e specialmente le donne si son portate in esso a macinare, e negli
altri sopradetti Molini secondo il piacimento di cadauno. E maggiormente ebbero
motivo di andare in altri Molini, e non in quello della Città; accagionchè
negli altri in tutto l’anno si pagano misure tre, e in quello della Città dal
dì di S. Pietro per tutto Decembre si pagano sei misure per ogni salma, e dal
d’ primo Gennajo in avanti misure
tre; il qual risparmio, perché piaceva alla povera gente, era motivo di
tralasciare il Molino della Città, e andare altrove a macinare il grano. Che
essendo insorta lite tra Farinola, e Penne nell’anno 1724 per alcuni atti di
giurisdizione, e per li danni, che i Cittadini di Penne inferivano a quei di
Farinola, risentitisi costoro di tali pregiudizj, proccurò la Città di Penne
far emanar bando, che niuno de’ Naturali, e abitanti di Farinola andasse a
macinare in altri Molini, se non che in quello della Città di Penne; tanto che
avendo per mezzo di quel Governatore rappresagliata una somiera con due tumoli
di grano a Marco Pennella, e due altri a Nicolantonio Romagno, amendue naturali
di Farinola, sul motivo che i medesimi erano andati a macinare il loro grano nel
Molino de’ Canonici di Penne; e avendone fatto essi i giusti risentimenti, fu
ordinato dalla Regia Udienza la restituzione degli animali, e del grano e di
tutto quello aveano estorto; l’informazione del solito; e che si emanasse
bando per tutta la Città di Penne, che non fossero impediti i Naturali, e
abitanti in Farinola di andare a macinare in qualunque Molino loro fosse
piaciuto
[94].
Non
si niega, che vi siano alcuni Dottori, i quali hanno scritto, che
nell’immemorabile non vi sia bisogno provare la proibizione, e la pazienza, Rovit. super Pragm. 14 de Baron. etc. Ma la comune dè Dottori
stabilisce che in facultativis non cadit
praescriptio, nisi a die prohibitionis et patientiae, riferiti da Larrea
alleg.69; o come il dottissimo Covarruv.
distingue § 4 par. 2 de praescript. Num. 6, cioè, o si allega
l’immemorabile in vim [?], e non è
il caso nostro, poiché la Città non ha jus
prohibendi, che nasca dalla Concessione: o in
vim praescriptionis, quasichè per
mezzo di questo corso sia indotta la prescrizione; e conchiude, dopo avere
addotti varj Autori, che sostengono l’immemorabile, non procedere senza
proibizione: quorum opinio (dice egli)
proculdubio communis est, e ne assegna
la ragione.
Come
dunque, e in qual maniera potrà giammai la Città di Penne provar
l’immemorabile? Ubi quaeso sunt legis? (così
risponde per noi Fontanella decis. 338)
qui de illa immemorabili, quam necessariam esse dictum est cum suis requisitis,
deponant? Ubi est consensun Civium, a quo deberet procedere haec consuetudo, vel
praesprictio, ut prodesset? Ubi sunt actus positivi, et affermativi, ex quibus
jus prohibendi inducatur? Ubi pignoramenta necessaria, et prohibitiones? Nihil
horum probatum est,
E
se mai la Città provar potesse proibizione, pazienza, convenzione, di niun
valore questi atti sarebbero, siccome scrisse la stesso Larrea
dict. alleg. 69 n. 29 in fin. Et facit, quod notavit Bertrand. cons.49 vol.3, ut
si Vassalli promitterent Domino accedere ad suum Furnum, vel Molendinum, talis
promissio praesmitur estorta per vim, et erit rescindenda, ut probavit Nevizan.
cons. 43 circa finem; quando subditi proibiti in hoc casu acquieverint
prohibitioni, id ex metu fecisse praesumitur; confirmat Natta cons. 106. Ciò
sia detto ad esuberanza, poiché non è questo il caso nostro.
Quel
che sinora ho riferito è stato ad esclusione del preteso jus prohibendi di andare a macinare ne’ Molini stranieri, ed ho
inteso averlo detto nell’ipotesi, che il Molino fosse feudale, e che la Città
di Penne avesse il preteso jus prohibendi,
e per convincer la medesima, che pur troppo si fortifica nella centenaria.
Che a ben riflettere non può la Città di Penne più giovarsi di questo titolo
legale, ogni qual volta ha prodotto l’altro particolare di aver ella comperato
il Molino cum jure prohibendi dal
Conte di Loreto, e da D. Giovannella de Burgo.
Rispetto
poi all’altro punto, cioè, che il Comune di Farinola possa edificare altri
Molini per proprio suo comodo, e uso, non vi è chi ne dubiti; e per non esser
più diffuso, mi rapporto a quel che scrissero Navar.
grav. 59 et 60, Tassone Gizzio, ed altri.
Laonde
per ogni verso, che si consideri il Decreto della Regia Camera, col quale fu
ordinato: Quod Universitas Civitatis
Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi, sembra giustissimo,
uniformare alle antiche, e moderne giudicature fatte in casi simili: Quotidie
(così attesta il Reg. de Ponte lib. I
cons. 97) enim videmus in gravamibus Vassallorum provideri contra Barones, quod
se abstineat, quando praetendunt aliqua a Vassallis habentia juris resistentiam,
nec in promptu docent de titulo; e il
Reg. de Rosa in prax.decret civil. così scrisse nel cap.10
n. 82: Terbio, quia jus prohibendi in similibus est de ragalibus, et quondam
vectigalis speciem praesert, ut probat Cardin. de Luca de Regalib. discurs. 144
num. 3, et 17. Ex his infertur, quod possesso, quam Baro habet, non est
manutenibilis, ut adnotat de Luca ad Praesid. decis.301 num. 10, et Reg. de
Marin. lib. I cap. 32, nisi Pribvilegium, ut est in dicta Reg. Pragm.14 de Baron.,
obtinuerit a Supremo Principe, qui hoc prohibendi jus habet pro publico
communique bono, ut apud Josephum de Rosa cons. 70; itaque termino inpartito de
justitia pertitorii conosci debet, et interim pronunciandum, quod Baro se
abstineat. Tanto fu praticato
dal S.C. nell’anno 1698 a relazione del fu Consigliere D. Pietro de Fusco,
siccome ne riferisce la decisione Maradei nell’osserv.11
alla Pramm. 16 de Baron., nella causa tra Cittadini, e il Barone d’Amato;
e la decisione su appoggiata a motivi men forti di quei, che si sono addotti, a
cagion che si ordinò: Quod respectu X
Capitis, ex quoTapeta olearia praedicti Illustris Baronis enunciata in dicto X
Capite non sunt descripta in Relevio, liceat Civibus habere alia Tapeta, et
denuo construere. Se dunque la sola ragione di non essere stati descritti
nel Relevio tanto operò, quanto più operar deve a favor de’ Naturali di
Farinola il non aver la Città né Concessione; né Privilegio, né
prescrizione, né consuetudine, né pagamenti di quindemj?
Potriansi
addurre cento altri esempi, e giudicature consimili; Vaglia però per mille la
decisione fatta dal S.R.C. nel 1775 nella causa tra l’Illustre Principe di
Melfi e i suoi Vassalli, che non ostante il possesso di due secoli, che avea
detto Principe di proibire a’ Vassalli l’accesso ad altri Molini, e
costruirne altri, dal S.R.C. fu ordinato: infra
quatuor dies audiantur partes, et interim Illustris Possessor se abstineat a
praetenso jure prohibendi
[95].
Né
può il Regio Fisco impedire, che l’Università di Farinola costruisca altri
Molini; giacchè l’acqua che nasce nel suolo del privato, è del padrone dello
stesso predio, argument. leg. sed si
pecunia § si lapidicinas e ff. de rebus eorum in fin., et leg. seq., quod tamen
privatis licet possedere, Andreas in tit. quae Regalia § fulmina navigabilia
vers. haec sunt Civitatum, Anna allegat. 79. Il che avviene ancora, se
l’acqua entri nel predio privato, e passi per quello; poiché subito che entri
nel fondo altrui col corso naturale, si fa dal medesimo per lo disposto nella
legge leg.I § illud Labeo de acqua quotid.
et aestiva; Sanfelic. Dec. 135 n. 2 ad 4.
Che
tale acqua sia privata, non può mettersi in controversia; poiché, come sopra
si è detto, riferì il Percettore Provinciale in esecuzione di ordine della
Regia Camera: Che il Molino di Penne venga macinante dal fiume denominato Tavo;
il quale nasce in Territorio dell’Università di Farinola, corre per il
Territorio medesimo, e continuando fa macinare il divisato Molino
[96].
E la Regia Udienza in attenzione di Dispaccio riferì parimente: Che l’acqua,
per la quale si rendea macinante il Molino di Penne, nasca sul Territorio
demaniale di Farinola, e propriamente nel luogo detto la Montagna di Farinola, scorrendo abbondantemente in un Fonte
denominato Angre, e diramendosi in un
rio scende in giù per l’anzidetta Montagna, là dove unendosi con altr’acqua,
che sorge, e scaturisce nel luogo nominato Pertuso,
o sia Vallecantarella, forma un
fiume chiamato Tavo, il quale passa
per lungo tratto sopra i Terreni di Farinola, dentro de’ quali intendea quella
Università costruire un nuovo Molino; e successivamente decorrendo rende
macinante il Molino di Penne, e diversi altri siti nel territorio di Farinola
[97].
Ed
ecco nel Teatro di verità, e di giustizia, qual’è il Supremo Tribunal della
Regia Camera, La città di Penne povera, ed ignuda d’ogni ragion comparisce,
non ostanti i suoi sforzi, i suoi maneggi in far travedere qualchè in verità
non è, che il Molino sia feudale col diritto di proibire; e l’Università di
Farinola , sebbene povera di uomini, e di forza a fronte della sua potente
Baronessa, ornata di validissime ragioni nascenti da fatti certi, e costanti,
quanti e quali son quei di non apparire, non che acquisto del Molino fatto da
Penne, non Concessione, non Privilegio, non tassa in Cedolario, non pagamento di
quindemj: circostanze, senza le quali non può dirsi per legge un Molino
feudale; ma né anche legittima prescrizione, o consuetudine antiquata, o non
mai contraddetta; per cui dalla libertà di potere i suoi Naturali macinare in
altri Molini, o edificarne altri per suo proprio uso, privata sia.
Quindi
spero dalla imparzial giustizia della Regia Camera, che, deferendosi al gravame
prodotto dall’Università di Farinola avverso l’insufficiente decreto del dì
20 Decembre 1731, col quale si disse: Quod
Civitas Pinnarum manuteneatur in possessione, vel quasi juris prohibendi
Molendini, quod possidet in Terra Farinulae
[98],
abbia a giudicarsi, che rimosso il
rimedio delle restituzione in integram dalla
Città di Penne portato avverso il Decreto del dì 28 Giugno 1729
[99],
debba ordinarsi ad essa Città di continuare all’Università di Farinola il
pagamento della bonatenenza juxta Catastum
in conformità delle Reali di sopra trascritte Istruzioni; giacchè ella
stessa la Città dichiarò di essere tal Molino burgensatico allorché nel 1587
ne obbligò la rendita a D. Gio: Battista Fibbioni; e come allodiale lo rivelò
nel 1745 nella formazion del Catasto di detta Università di Farinola, per cui
ne ha pagata la tassa sino passato anno 1774; E confermandosi il divisato
Decreto del 1729, debba restar fermo quelchè non conosciuta giustizia
precedente istanza fiscale fu ordinato; Quod
Civitas Pinnarum se abstineat a praetenso jure prohibendi
[100];
ed esser qundi lecito all’Università
di Farinola di poter edificare altri Molini a suo piacimento per proprio uso
de’ soui Naturali
Caetera Suppleant etc.
[1]
Fol. 1. Proc. I. Vol.
[2]
Fol. 2. et 4. dict. I vol.
[3]
Fol. 7. dict. I.vol.
[4]
Fol. 18. dict. I. vol.
[5]
Fol. 18. at dict
I.vol.
[6]
Fol. 24. dict. I. vol.
[7]
Fol. 26. dict. I. vol.
[8]
Fol. 27. dict. I. vol.
[9]
Fol. 33. et 34.
dict .
[10]
Fol. 28. ad 32.
dict. I vol.
[11]
Fol. 40. dict. I. vol.
[12]
Fol. 44. ad 53.
dict. I. vol.
[13]
Fol. 42. dict. I. vol.
[14]
Fol. 85. III. Vol.
[15]
Fol. 238. et at.
I.Vol.
[16]
Fol. 240. et at.
Et 241. dict. I.vol.
[17]
Fol. 242. dict. I.
vol.
[18]
Fol. 252. dict. I. vol.
[19]
Fol. 250. dict. I. vol.
[20]
Fol. 86. ad 89. III. Vol.
[21]
Fol. 53. et 54.
lit. A. dict. 3. vol.
[22]
Fol. 60. et at.
Dict. 3. vol.
[23]
Come dalla supplica fol. 93. dict.
3. vol.
[24]
Fol. 52. et 53. I. vol.
[25]
Come dal Ricorso fol. 43,
dall’istanza fiscale fol. 43. at. Dal Decreto del Presidente de Maria del
dì 23 Agosto 1720. fol. 65., e dalle Provisjoni fol. 67.
dict. I. vol.
[26]
Fol. 70. dict. I. vol.
[27]
Come dalla Relazione fatta al
Tribunale dello Scrino Ottavio Galante a’ dì 18 Novembre 1729 fol. 80. et.
81., dall’Udienza rimessa al Viceré fol. 79, e dal Viceré alla Regia
Camera con Dispaccio del primo Decembre per le providenze convenienti di
giustizia fol. 78. dict. I. vol.
[28]
Fol. 82. dict. I. vol.
[29]
Fol. 86. dict. I. vol.
[30]
Fol. 112. at.dict.
I. vol.
[31]
Come si ha dalla Relazione
dellUditor Tardioli alla Regia Camera, dalla copia del Dispaccio fol. 120 ad
122 dict. I. vol., e dagli atti della Informazione
fol. I. ad 41. V. vol. et sign. Fol. 20. 31. et 32.
[32]
Fol. 141. ad 198. I. vol.
[33]
Fol. 138. dict I. vol.
[34]
Fol. 230. dicti I. vol.
[35]
Fol. 254. dict. I. vol.
[36]
Fol. 40. dict. I.
vol.
[37]
Fol. 87. dict. I.
vol.
[38]
Fol. 88. dict. I.
vol.
[39]
Fol. 125. dict. I. vol.
[40]
Fol. 135. dict. I. vol.
[41]
Fol. 135. at. dict.
I. vol.
[42]
Fol. 136. dict. I. vol.
[43]
Dict. Fol. 136. et at.
[44]
Dict. Fol. 136. at.
[45]
Fol. 127. et 128.
dict. I. vol.
[46]
Fol. 128. at. Dict.
I. vol.
[47]
Fol. 128. at. dict.
I. vol.
[48]
Fol. 129. dict. I. vol.
[49]
Fol. 131. dict. I. vol.
[50]
Fol. 129. at. dict.
I. vol.
[51]
Fol. 130. et 142.
dict. I. vol.
[52]
Fol. 199. dict. I. vol.
[53]
Fol. 202. dict. I. vol.
[54]
Fol. 203. dict. I. vol.
[55]
Fol. 202. at. dict.
I. vol.
[56]
Fol. 204. dict. I. vol.
[57]
Fol. 141. at.dict.
I. vol.
[58]
Fol. 187. et 188.
dict. I. vol.
[59]
Fol. 188. at.
[60]
Fol. 164. ad 186.
dict. I. vol.
[61]
Fol. 200. et 201.
[62]
Fol. 201. at lit. A.
[63]
Fol. 189. ad 198.
[64]
Fol. 40. dict. I. vol.
[65]
Cit. fol. 24. dict.
I. vol.
[66]
Fol 137. dict I. vol.
[67]
Esame fatto per parte
dell’Università di Farinola nella
Regia Udienza di Teramo fol. 214. ad 226. dict. I.vol.
[68]
Fol. 207. et 208
dict. I. vol.
[69]
Fol. 44. ad 51.
dict. I.vol.
[70]
Fol. 52 et 53. et
sign. Fol. 52. at lit. B dict. I. vol.
[71]
Fol. 51. at. et 53.
[72]
Fol. 83. lit. A.
dict. I. vol.
[73]
Fol . . . III vol.
[74]
Come si rileva dalla precitata
Relazione del Razional Carido al fol.80 lit. V. I. Vol.
[75]
Fol. 67. lit. S.
III Vol.
[76]
Fol. 65. a t. dict.
3. vol.
[77]
Fol. 67. lit C.
dict. 3. vol.
[78]
Fol. 66. a t. lit
D. et 69. at. Lit. T. dict. 3.vol.
[79]
Fol. 68. a t. lit. E dict. 3. vol.
[80]
Fol 70. lit. C
dict. 3. vol.
[81]
Fol. 63. a t. lit.
G: dict. 3. vol.
[82]
Fol. 65. lit H.
dict. 3. vol.
[83]
Fol. 83. lit.
[84]
Fol. 84. a t. lit
K. Dict. 3. vol.
[85]
Fol. 91. dict 3. vol.
[86]
Fol. 108 lit A. I
Vol., et fol. 90 a t. III Vol.
[87]
Come si rileva dalla Relazione del
Magn. Razional del Cedolario fol.30 lit X ad 31 I Vol.
[88]
Fol. 85. et 86. III Vol.
[89]
Fol. 238 et a t. I. Vol.
[90]
Fol. 86. ad 89. III Vol.
[91]
Fol. 257. 261. 263. 265. 269. et
274. I. Vol.
[92]
Fol. 252. et 270.
dict.
[93]
Fol. 33. lit. A
[94]
Come dagli Articoli, e dalle
deposizioni contesti de’ Testimoni esaminati nel 1732 in Aula Regae
Audientiae fol. 206. ad 226. I. vol.
[95]
Come dagli Atti del S.C. in Banca
di Massa presso lo Scrivano Salfano.
[96]
Fol. 70. I. vol.
[97]
Fol. 80. et 81
dict. I. vol.
[98]
Fol. 254. I. Vol.
[99]
Fol. 40. dict. I. vol.
[100]
Fol. 18. a t. et
24 dict. I. vol.
Per tornare all'elenco pigiare qui