Farindola:
elementi di storia
Serafino Razzi | Vincenzo Barbieri |
Stanislao Cretara |
Stanislao Cretara,
Farindola
nella sua leggenda di ieri, nella sua realtà di oggi, nel suo magnifico
divenire,
Tipografia
Appignani, Teramo 1912 |
Origine leggendaria | Leggendariamente | Ancri | ||
Un soliloquio | Zio Antonio | Le donne di lassù | |||
Conchiudendo | Ricordi della gita nel Mortaio di Ancri | Finale |
A
te o Farindola, la terra benefica che non sapesti mai i tesori che conservano i
tuoi alpestri monti, le tue roccie millenarie, i tuoi carpini, i tuoi faggi
sempre verdi e rigogliosi, la tua gente sempre affezionata al lavoro e che
conserva qualche cosa della semplicità dei padri.
A te che piaci nelle tue linee
irregolari, nelle tue stradicciole anguste,
erte e rocciose:
A te che hai la vita da una amm.ne
presieduta dal colto simpatico uomo che risponde al nome di Paolino Colaiezzi.
A te stanco ma non vinto il poeta
che disprezza e passa sopra tante altrui miserie e viltà, pieno di quell’
orgoglio che il genio può vantare , consacra queste pagine semplici come il
linguaggio dei tuoi figli, che sulla breccia del lavoro non si arrendono, non si
arrendono sui campi di guerra.
Penne luglio 1912
Stanislao Cretara
Origine
leggendaria
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In tempi non lontani diffamarono Farindola che conta circa 4000 abitanti paese alpestre e sede di inestancabili lavoratori. E la diffamazione si verifico per la uccisione dell’Ingegnere Barbieri avvenuta per l’opera di alcuni esaltati dalla troppe libazioni che scoprirono il lui il tiranno forestiere: Ma l’opera cattiva di pochi violenti non deve far peso sopra il capo di un popolo laborioso ed intelligente che è il popolo Farindolese.
Quei naturali sino a ieri passarono la vita in povere case, si nutrirono di ordinari cibi, vestirono male; fino a ieri ignorarono i regolamenti sanitari. Mal retribuiti dell’opera loro, vessati non si ribellarono. Ma da tempo si sono fatti emigratori, da tempo hanno giurato a se stessi di far fruttare le proprie economie per formarsi la casa decente, per divenir proprietarii della terra che lavorano, di far istruire le proprie creature. Come si scorge di leggieri i Farindolesi studiano per liberarsi dalle pastoie dell’ignoranza, per migliorare se stessi. E nella luce di oggi sostituita alla oscurezza antica nel zampillo d’acqua purissima che partendo dalle alpestri alture di Farindola darà salute a tanti che l’attendono con ansia, si avviano quei naturali verso un migliore avvenire. Assurgono a quei destini che creano il lavoro e lo studio, mercè i quali la prepotenza come l’ignoranza tramonteranno per sempre.
Però è bene sapere che l’antica Farindola non è dove presente esiste, ma era proprio in Ancri. Non fu risparmiata dalle invasioni di ogni specie. Allora decisero i pastori di lasciare le alture di Ancri dove nacque San Quirico la cui madre si chiamò Santa Giuditta, e discesero dove presentemente si trovano gli originari di quei pastori. E chiunque osserva scorge che Farindola sta come per difendersi da tutto una lunga costa oggi seminatoria, ricca di oliveti e vigne e frutti di ogni genere, allora tutta disseminata di silvestre piante che toccavano le falde della presente Farindola. E dovevano possedervi immense pastorizie i Farnesi potenti e ricchi signori, perché fu data ad una strada il nome di Strada Farnese , forse in omaggio a Paolo III Farnese Alessandro nato in Roma creato Papa nel 1534 e morto nel 1549, dopo aver compiuto opere meravigliose le quali sono pure oggi ammirate.
Io non ho la presunzione di poter dare a voi quanto mi leggete una monografia di Farindola esatta, completa, fatta bene. Sono un povero uomo digiuno di studi; vi darò poche pagine utili e dilettevoli. Vi tesserò un ricamo di fatti che in un certo modo potranno piacervi, anche perché riflette un paesello che oggi è sulla bocca di tutti e si guarda con simpatia perché la Vitella d’Oro, il Mortaio d’Ancri sono le sorgenti che si producono nel suo territorio, ed anche perché la sua Amm.ne Com.le è stata assai generosa concedendo le sorgenti senza esorbitanti pretese.
Ma dove incomincerò? Se devo andare alla origine di Farindola, quella si perde attraverso i secoli. Da una mattonella rinvenuta demolendosi la chiesa madre si è scoperto che quella fu innalzata nel 1080. Se dunque nel 1080 venne innalzato il tempio nel mille dovettero sorgere le abitazioni così deformi: Nessuna di esse hanno una cornice. Nel 1657 aveva Farindola 86 fuochi come risulta dall’archivio generale in Roma.
Intanto nella contrada Ancri anni sono un contadino scavando la terra per fabbricarsi una casa rinvenne degli oggetti attestanti che proprio in quella località dovette sorgere un tempio fornito di grandi ricchezze, e di una estensione considerevole. Si disse allora di proseguire nelle ricerche, ma tutto si arrestò per non affrontare la spesa.
E la scelta della nuova località non fu errata, perché Farindola riposa sopra una roccia durissima e non mancarono di premunirsi contro gl’invasori perché anche oggi si osservano i duri ruderi di quattro antiche torri.
A poco da Ancri osservasi ancora una specie di strada pianeggiante, rettangolare dove rinvennero le monetine, le stoviglie ed altro. Tanto conforta che verso il Mortai dovette sorgere una estesa borgata dal tempo, dalle invasioni distrutta.
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Concedo la parola a Mastro Nicola Carusi del fu Leonardo che nella età di 81 anni ha la vigoria di un giovinotto, ha l’affezione al lavoro.
Egli rattoppa i scarponi – egli fa ogni cosa perché seppe evitare le libazioni, il fumo e la donna: cioè non si gettò a capofitto in queste pericolose abitudini. E prima di raccogliere le sue parole, premetto che questo tipo di uomo onesto, questo Farindolese autentico, ha sempre portato in testa il cappello con le falde larghe e moscio, ha sempre protestato per la pensione governativa, avendo egli combattuto con coraggio sotto la bandiera borbonica in odio ai garibaldini. Ed il nessun conto che il comune di Farindola ha tenuto dell’opera che il di lui padre Leonardo, morto a 92 anni rese al comune stesso dove fu decurione, e poscia consigliere, ed illetterato per giunta, lo adira.
Così intanto egli incomincia:
Mio padre fu cafone, ma fu pure negoziante: In ogni giorno di mercato veniva nella città e comperava un pacco di fiammiferi un pacchetto di filo, una scatola di bottoni ed esponeva queste cose dinanzi alla porta di casa sua; rivendeva a minuto: Ma non faceva più di questo perché difettavano i compratori.
I lampioni anche dopo il sessanta non esistevano: si rimaneva nelle sere oscure tappati in casa; se si moriva, se si campava non trovatasi soccorso.
Nel caso disperato una lanternuccia con un lumicino ad olio ti indicava la strada ripida e sassosa od un tizzo acceso.
Le scuole? Il maestro era costituito da un prete di Celano Don Felice Antonio un celebre ubriacone, che insegnava sopra un seggiolone antico e sdrucito mentre gli studenti si arranciavano seduti in terra. Spiegava le meraviglie di Guerino il meschino, la verginità di Santa Orsola e delle sue mille compagne, e spiegando faceva sentire il peso dei colpi del nervo di bue sulla nostra testa, sulle nostre spalle, sulle mani. Un vero martirio: sicchè ciucci eravamo prima del suo insegnamento, ciucci dopo le sue lezioni spiegate come può spiegarle un alcolizzato.
Una perpetua gli cucinava, piena di lordura sulle vesti, sulle mani, sulla faccia. Don Felice Antonio le diceva sovente: Filomena non farti lusingare.
E Filomena con la sua boccuccia lo guardava significandogli: solo per voi.
E parla sempre Maestro Nicola:
I sarti prendevano la misura dei vestiti col filo, e restituivano l’abito sgarbatamente, senza ripassarci il ferro caldo per la paura che bruciasse la punteggiata, ossia il filo di refe.
La caccia delle pernici, delle lepri si faceva dentro a Farindola da rari cacciatori, mentre i lupi ci facevano spesso le proprie visite dentro all’abitato: Nel comune quello era tutto, un solo impiegato con un subalterno.
Non sempre il Sindaco sapeva scrivere un rigo di carta. Ci era un tale che si chiamò Fantino Corda egli era tutto nel comune anche perché serviva la potente famiglia Frattarola.
Raccontasi che fu rifiutato da Tribunale di Teramo, dalla Pretura di Penne e dalla conciliazione di Farindola dietro seria eccezione del causilaco di quel tempo Nicodemo Giancola, morto assai rimpianto perché di una onestà ineccepibile, di una bontà immensa, di una economia esemplare. Non parlo poi del disordine interno al Municipio.
Già non faceva bisogno nessuna notizia in quei tempi, ma se ti occorreva qualche cosa, ci dovevi tornare una diecina di volte in fila. Il medico accreditato era il flebotomo Don Costanzo Randelli, quello non accreditato era il professionista pagato dal comune.
I maccheroni erano una eccezione come cibo perché nessuno faceva commercio di essi: solo una donna a nome Mariannina, ora deceduta, teneva una specie di bottega come una scatola, e veniva alla città una volta per ogni mese e riportava 10 chili di maccheroni che sovente le rimanevano invenduti e si tarlavano.
- Ed adesso?
Mastro Nicola sorrise, ma si arrabbiò un poco quando il suo ottimo figlio Mastro Gennaro calzolaio –locandiere - Direttore di Posta, legale e galantuomo per giunta gli disse: Cretara ti può far la domanda per la pensione.
E lui. Che forse non è vero che ho combattuto a Palermo contro i Garibaldini, che mi sbandai a Gaeta ritornando pedestremente in Farindola?
E tacque mentre la sua dolce metà diceva: Nicola sei ostinato, sei ostinato, lavora. Lavoro e taccio, anche perché ai miei tempi tutto era a buon mercato: i fagioli a 24 carlini la salma, le patate a 4 lire la salma, la carne a 3 grani al chilogrammo, il vino a 2 grani la caraffa e di quel cotto.
Ora tutto è caro, e chi ha servito la patria non si calcola un corno. Stette un poco e poi: sessanta anni da oggi nell’abitato erano più maiali che uomini; le strade le scavavano le piogge e divenivano pantani.
Una volta Leonardo Baccanale fece, con una scannatorata uscire la trippa ad un cafone: stette tre giorni così. Venne da Loreto il Chirurgo Valentini, e facendo muovere il paziente, con un calcio nella schiena gli rientrarono le trippe : dopo pochi giorni guarì.
E tacque, forse nella di lui breve intelligenza ripassavano tante cose vedute, la sua fedeltà serbata all’amicizia, alla propria donna.
Tutto ciò non appartiene più al momento che volge, io gli dissi.
Egli si strinse al cuore i nipotini e li baciò affettuosamente, affettuosamente.
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Ancri è a 650 dal livello del mare. Sorge dal Mortaio d’Ancri un’acqua purissima gelata, un’acqua che la bevi con piacere perché non fa peso sullo stomaco, che aiuta la digestione: una delle migliori acque d’Italia.
E quando sei giunto in Ancri un’ora e 20 minuti da Farindola tu vuoi lungamente rimanerci perché dalla località così pittoresca dove l’aria profumata in primavera dai fiori silvestri, dalle innumerevoli piante e di ogni specie e di ogni grossezza che sorgono dalle dure roccie millenarie formano un quadro ammirabile dove l’occhio si posa, la mente pensa, il cuore palpita e la fede s’impone.
E presentemente quella località è assai migliore di quando l’acqua sorgeva da una specie di buco circondato di erbe, che aveva la forma di un mortaio. Ci si affondava un bicchiere od altro recipiente, e si bevevo l’acqua allora. Oggi le opere che si sono fatte sono opere meravigliose.
Oggi l’acqua è conservata da ogni pericolo d’infezione e perciò ben può dirsi questo: La Impresa Serantoni e Figlio assuntori dell’opera vanno assai lodati, e con essi passino pure alla storia i nomi dell’ Ing. Rossi, dell’Ing. Carpani, dell’Ing. Laguardia che hanno tanto lavorato d’intorno alla grande opera.
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Un
soliloquio
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Non fumate nella Pipa dei sordi che diverrete sordi. – La sordità si comunica ed io vi parlerò del caso a me occorso: Io sono il Bidello del Comune, conto 54 anni sono nativo di Penne e sono pagato con lire 10 mensili; ho tanto di berretto B. C. Sono illetterato, fui sarto di campagna e tutti i clienti mi ripudiarono. Sbagliavo sempre le misure. La mia moglie è spazzina comunale pagata con lire 15 mensili. Dal mio mensile però vanno tolte L. 1,50 per ogni mese volendo ogni impiegato del Comune da me la presa di tabacco per liberarsi dal sonno che li tormenta. Un giorno trovando che l’altro Bidello ed usciere di conciliazione Vincenzo De Nino affetto da sordità si era assentato un poco, e vedendo sopra una sedia la di lui pipa piena di fronda di tabacco l’accesi e fumai. Non avevo finito di fumare quando divenni completamente sordo. Ogni rimedio è stato vano. La Pipa del sordo mi felicitò della sordaggine inguaribile. Questo mi raccontò Angelo Ferramosca fissandomi con i suoi occhi di gatto, conchiudendo: penne non ricorda, non cura i buoni figli, morirò qui.
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Zio
Antonio
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Antonio Barbarossa fu usciere di conciliazione, consigliere comunale, locandiere, maestro sarto, membro della congrega di carità, nei suoi tempi da 50 anni da oggi erano le sue tre camerette di alloggi, la sua cucina, quando di desiderabile si potesse ottenere. Era poi di un temperamento assai piacevole, nella sua bocca leggevi un sorriso, nel suo sguardo l’uomo intelligente, nella sua opera l’uomo onesto. Erano scorretti i suoi atti di citazione come grammatica, ma sovente pieno di buon senso. Mi diceva un giorno che gli suggerivo un atto del suo ministero: Apprendo per aria; ed avendo dovuto apprendere per aria perché senza maestro di sorta, ma con la semplice scorta della sua intelligenza imparò alla meglio a leggere e scrivere. Mi diceva don Marcellino Nardi un vecchio perito di campagna, un lavoratore instancabile, di Zio Antonio: ha imparato da sé, ha fatto tutto da sé: Una volta l’arciprete Lucani d’infausta memoria doveva celebrare un matrimonio, richiedeva dal maschio il biglietto di confessione che gli avevano dovuto rilasciare. Non l’aveva. Ed allora stava per nascere uno scandalo, quando si avvicina zio Antonio e dice all’Arciprete; uniscili, garantisco io. E l’arciprete per l’autorità di zio Antonio lasciò stare ogni scrupolo e li unì in matrimonio.
Dopo una vita spesa a bene di tutti, e specialmente per la di lui adorata e numerosa famiglia che benedice alla sua memoria, Antonio Barbarossa è morto nella età di 83 anni. E voglio conchiudere di lui con questo aneddoto: L’arciprete Basilicati che regalò a Papa Pecci dieci pomi di terra del peso di chili 12, un genio che sbagliò di strada, fu designato in Farindola per il governo di quelle anime. Amico del buon mangiare, amico del giuoco delle carte, disse un giorno ad Antonio: Che cosa dicono di me: Ed Antonio: Dicono che voi scrivendo contro i forestieri che si infiltrano in casa nostra per farci del male, avete fatto la vostra biografia.
Tacque Basilicati.
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Un poco superstiziose, molto credule, amiche del lavoro, assai brune e miniate di rose maggioline, assai affezionate alla loro prole, così sono le cittadine Farindolesi. Lavorano la gleba assenti gli uomini, si contentano di un duro e scarso cibo, vestono modestamente, conducono con vera passione al pascolo l’armento, e si caricano sopra la testa i pesanti fasci di legna che raccolgono, e che sovente ad esse fruttano il carcere. Sulle coste di Ancri, sui dirupi del Vitello, guidano l’armento e cantano le belle canzoni, cantano:
Torna presto, o mio tesor
che fedel ti son restata;
quella fede a te giurata
t’ho serbata pura in cor.
Fui tentata, ho resistita,
t’ho serbata la mia fe,
penso ognor che l’ideale,
hai tu pur serbato a me.
Se dovessi aver tradito
chi ti seppe tanto amar,
possa il fulmine bruciarti
ingoiar ti possa il mar.
Così cantano e filano nella conocchia la canapa, il lino, la stoppa, filano e sorridono al verde che le circonda, al verde che rappresenta l’emblema della speranza, alimento morale di ogni nato di donna.
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E tu che mi leggi perché non mi domandi che cosa io abbia studiato nei riguardi dell’ambiente Farindolese? Perché allora ti risponderei che il cafone è di buona fede, la classe operaia alquanto desiderosa dei pubblici poteri e la classe che fu signorile, perché adesso è finita pure lassù come in Penne, fu accumulatrice.
Non serbano i rancori, un poco dedito alle libazioni, hanno tradizionale amicizie, sono tutti compari, sono tutti parenti. Vi hanno dei cognomi puramente selvaggi. Gli Ammazzalorso, i dell’Orso i Falconetti, sono numerosi lassù.
L’orologio pubblico vi è da soli pochi anni e pochi anni di vita ha pure una farmacia messa in ottime condizioni e diretta da quell’egregio giovine che risponde al nome di Cirone Luigi di Antonio chimico farmacista e perito agronomo. Un ingegno, un cuore.
Il paese è completamente montuoso. Conta 230 scalette distante fra di loro per circa un metro. Presentemente difetta di un tempio, perché demolirono quello che vi era, per farne uno assai migliore, ma purtroppo il tempo passa ed il tempio non risorge.
Vero è che l’Egr. Arciprete Colaiezzi non lascia nessun mezzo intentato per il suo sogno d’oro. Ma pare che una grande iattura vi sia. Eppure ci vuole una chiesa perché la preghiera è necessaria a noi come il pane quotidiano; specialmente quando i vigliacchi ti aggrediscono alle spalle come si verifica sovente in Penne, e sempre in danno dei deboli. E conchiudo brevemente:
A Farindola è serbato un grande avvenire, e per la operosità dei propri cittadini, e per la virtù delle sue sorgenti, e per altri beni che quelle roccie racchiudono; è serbato un lieto avvenire e questo prepara la sua amministrazione presieduta oggi dall’intelligente e colto uomo, non che persona di cuore che risponde al simpatico nome di Paolino Colaiezzi.
Ho
detto.
Ricordi della gita nel Mortaio d'Ancri
Nella sera del 16 Giugno alle ore 7 pom. Qui venne il Capo della Provincia ed il rappresentante politico del Collegio di Penne. Accolti benissimo il Bonomi ed il Tinozzi furono ospiti del Cav. Cassini Sotto Prefetto di Penne: Nella sera ebbe luogo una cena presieduta da pochi intimi, assai abbondante, assai movimentata. Rendevano gli onori di casa la gentile Signora del Cav. Cassini, la di lui graziosa unica figliuola. Consumando quando venne offerto, il Capo della Provincia disse assai bene delle nostre passeggiate esterne così ricche di alberi fronzuti, di muraglie di acacie, esclamò: Un lungo segno di verde pittoresco: Nessuno gli disse che tanto è dovuto al V. Assessore La guardia Luigi del fu Salvatore che con vera passione serve la sua terra natale, non sempre grata.
Nella mattina del 17 alle ore 5,30 con numeroso seguito cittadino e forestiere adagiati sopra comode carrozze, di corsa in Farindola . . . . Che colpo d’occhio magnifico, dice l’on. Tinozzi al Sindaco di Penne durante la traversata della rotabile: Penne, Cupoli, Farindola . . . . . Ed il Prefetto: Proprio così, è delizioso quanto si presenta al nostro sguardo. Vedo un arco trionfale lavorato dai F.lli D’Amico.
Nella entrata di Farindola, Paese destinato a tutto un avvenire radioso che io gli auguro, ci accoglie un applauso formidabile: un evviva, uno sventolare di innumerevoli bandiere.
L’Egregio Sindaco Paolino Colaiezzi, dopo di aver stretto cordialmente la mano al Capo della Provincia, gli presenta la giunta nelle persone di Giuseppe Valentini, Quirico di Nino, Antonio di Francesco, ed il consiglio nelle persone di Domenico Falconetti, Achille Barbarossa, Giuseppe De Vico, Augusto Frattarola già V. Conciliatore, Serafino di Francesco, Giovanni Cirone, Flaviano Basilavecchia, Cutellucci Giovanni, Massei Pietro Paolo, Di Bernardo Antonio, Core Donato, Paolo Di Francesco.
Gli presenta i rappresentanti della benefica istituzione della Congrega di Carità nella persona del Presidente Nicola Basilavecchia e dei membri Antonio Di Giuseppe, Nicola Massei, Giuseppe Ciprietti, Domenico Falconetti ed il Segretario Antonio Carusi. Gli presenta il proprio fratello Arciprete Colaiezzi Ernesto, che tante simpatie raccoglie per le sue doti di mente e di cuore, che tanto lavora per la riedificazione del tempio, il sacerdote Carnevali, il V. Direttore della Posta Gennaro Carusi già V. Conciliatore e V. Sindaco, Fidalangelo di Muzio, Gentile Paolo, Lanza Raffaele che non dimenticò il suo duro in testa, Giuseppe Tinacci, Zopito Tinacci, Ernesto di Nino, l’ottimo chimico Farmacista non che perito agronomo, Luigi Cirone gli impiegati Valentini Nicola, Antonio De Berardinis, il Segretario del Comune Vincenzo Carusi, Lanza Antonio, Michele Marcelli, il Dottor Moschetti e molti altri. A presentazioni finite la musica intona la marcia Reale, le insegnanti Nardi e Tarquini, e gli insegnanti Frattaroli Antonio e Fraticelli salutano il Capo della provincia e l’on. Tinozzi, mentre quanti sono affidati alle loro diligenti cure messi in due fila rispettosamente salutano e sollevano la bandiera tricolore. Io guardo ogni cosa e mi piace assai la nuova paglietta di Quirino di Nino, che è per la occasione ringiovanito di molto . . . Egli mi avvicina e mi dice: Prendi nota di tutto?
- Di te specialmente, di te che pari oggi un uomo che vada a nozze colla donna che adora . . .
Sempre caustico . . .
Così sento a dirmi dal Brigadiere Coltella Gesidio che regge la magnifica bandiera del Comune e da vecchio e valoroso militare graduato della Benemerita arma.
Tutti i cittadini circondano commossi gioienti i nuovi arrivati, tutti con la bandierina tricolore hanno la parola composta, cortese. Dopo 20 minuti si forma il corteo e si va nel comune.
Percorrendo le anguste, erte, strade assai nette sui muri leggo dei patri motti, dei manifesti pieni di entusiasmo.
I fiori scendono sopra di noi, il cielo è terso . . . io annoto. E nel comune troviamo Rosmunda di Nino – Doralice Carusi – Filomena Ciabattoni – Carmela Frattaroli – belle vestite che offrono liquori, paste bibite all’acqua di Ancri, guidate dall’impiegato Nicola Valentini. Hanno gaio il sorriso e sono il vero ritratto della grazia. Il Sindaco legge poche sentite parole. Intanto suona l’ora ottava e si riforma il corteo per andare in Ancri; i vecchi, i giovani, i fanciulli godono dello spettacolo di tanti sorrisi, e godono ancora perché nutrono la speranza che una visita del Capo della Provincia, del Deputato di tanti gentili sia sia apportatrice di desiderati beni.
Una vecchierella mi tira le falde della giacca, mi dice: Gnoro abbucato è pi bene tutta sta gente.
Rispondo che si; e tocco la sua scarnita guancia. Sorride e vorrebbe dire: Fui bella un dì.
Fuori Farindola ci aspettano le cavalcature: il Rag.re Michele Nobilio che tanto lavorò perché tutto riuscisse bene, impreca ai villani che quasi storditi non sanno dove si trovano, perché non hanno procurato gli arcioni decenti; mentre l’avv. Forcella e l’Ing. Pugliese di Atri si domandano: Ma siamo in Farindola oppure in un cantone della Svizzera?
Le G.e M.i D. Fracassi e V. De Berardinis, le guardie Forestali G.e A. Di Nicola A. Fracassi, tutti vestiti a festa ci seguono affettuosamente. Notano intanto tutti l’assenza dell’avv. De Fermo, sono tutti dispiaciuti per la forzata assenza degli egregi Sanitari Candelori e Tucci,(¨) i lavoratori morali della grande opera. Mi presentano il Sig. Grandino chimico farmacista di Pianella che mi dice: Per il “Corriere d’Abruzzo?” Vedo il Cav. Costantino Serantoni, il di lui figlio Silvio, non vedo i bei fiori della loro casa; la giovane moglie di Silvio la di lui affezionata sorella.
Il Cav. Sabucchi, il tipo del gentiluomo, del democratico senza finzioni, la nota lieta delle feste dei conviti l’amico affettuoso della sua terra natale, è per un’asino che gli sconsigliano perché bolzo, perché con una specie di sella che ripugna, e priva di staffe. Ma egli che non muta facilmente di opinione, è per l’asino così zoppo, così male ridotto e ci si pavoneggia . . . e sfila. Sfilano con lui molti; pochi scelgono il metodo pedestre. L’avv. Mariani dice al Dott. Baroni: Con la cavalcatura la gita perde il suo scopo. Il Baroni approva e sorride col suo bonario e simpatico sorriso. Si scorge il Cav. F. Pensieri che è molto pensoso. Gli dico: Tu pensi alla linea provinciale Penne-Teramo?
Egli briosamente così risponde:
Quando sarà quel dì,
che io vedrò comparir
il sogno che sentì
il cuor con desir
E tace per un momento, perché subito torna a parlare con diversi dicendo: E’ l’opera a cui tengo.
Ed un Farindolese: Ma perché non passerà in Cupoli l’automobile Penne-Teramo?
Il Cav. Pensieri non risponde perché la risposta sarebbe imbarazzante. Ed egli che ha saputo sempre regolarsi non spiega all’interlocutore, che si chiama Antonio Cirone, ogni cosa.
Si apprende di un mulo che ha colpito con un calcio l’ottimo Ing. Laguardia. Tutti sono dispiacenti, mentre dice il Cav. Sabucchi: I muli, ecco le loro prodezze; e frusta l’asino suo e regala una sigaretta profumata al conduttore della sua bestia che lentamente cammina. I cafoni con le mogli, con i figli sporgono il capo dalle loro casette oggi così arieggiate e comode, e guardono il corteo festoso, ed a me salutano di cuore. Il Sig. Suzzi, il simpatico, intelligente giovane contabile della Società del Tavo mi dice sorridente: La riconoscenza dei clienti.
- Non sempre si mantengono fedeli per l’opera dei mettimali . . . esclama Achille Barbarossa l’ottimo maestro sarto di Farindola, che offre il suo erbasanta. E si cammina. Dopo 65 minuti si giunge dove il sole non luce. Dopo 5 minuti siamo fuori dalle 3 gallerie lunghe 460 metri.
Ed ecco le coste di Ancri, presso quelle millenarie roccie così pittoresche, così popolate di tutto un verde eterno, che scolpito appare nel duro sasso: eccoci a poca distanza dai lavori compiuti ed in così breve scorcio di tempo, e meravigliosamente.
Il Prefetto, una perla di gentiluomo, esclama: Quante ignorate bellezze; non credevo, non credevo. Ed il giovane Acerbo Giuseppe di Loreto fa scattare la sua macchinetta fotografica.
L’ assistente capo Francesco D’Amico non è fra quelli che amano di farsi comprendere nell’obiettivo, e si allontana alquanto, anche perché vuole spiegare quanto gli domandano alcuni gitanti.
Il com. Casella che ha sul volto scolpito tutta la rivelazione di una sventura sofferta, racconta della selvaggina uccisa sulle coste di Ancri, ed in altri tempi. Il simpatico giovine Silvio De Dominicis, notaio e V. Pretore approva quel linguaggio semplice, penetrante come il sorriso del Dott. Moschetti.
I ricordi sono sempre così, e semplicemente quando li pronunzia chi accoppa alle venerande canizie un cuore d’oro.
Una salve di bombe ci salutano. Guardiamo il fabbricato che custodisce le sorgenti, guardiamo ad altre opere di muratura degli dell’antica Roma. Costarono 275 mila lire. E tutti corriamo nelle sorgenti desiderosi di dissetarci di quelle limpide acque. Il prefetto, il Deputato sono col giovane Silvio Serantoni, col Rossi, col Pugliesi che parlano con competenza della sorgente, dei lavori eseguiti, delle difficoltà superate. I presenti ascoltano ed ammirano; la musica suona, io annoto, il Monelli così piccino guarda l’avv. Innamorati un ercole come uomo, un carattere, un ingegno, con un senso d’invidia o di ammirazione?
Non azzardo l’oroscopo.
L’Ing. Muzi conversa fraternamente con l’Ing. Crocetti che in un certo momento dice: Collega, per carità io ci sento bene.
Un ragazzo breve, bruno sta con la bandiera elevata e dice; Io, Nicola Lombardi voglio fare il bersagliere. Ma il cielo si turba, si abbrevia l’ora stabilita per la colazione, anche perché alcuni senza tante cerimonie hanno incominciato con il pane soltanto, Dicono: Ma l’appetito non guarda alle convenienze. Lo Scurti, assessore del Comune di Castellammare discute con l’avv. Mariani sul tema: L’eterna giovinezza :E Mariani: Nessuno potrebbe disconoscere questa in te. Io scopro nella chioma ricciuta, nei baffi magnifici dello Scurti una varietà di colore, qualche cosa che dubitare della sua eterna giovinezza. L’assessore contadino di Francesco Antonio che nel consiglio comunale di Farindola, si oppose alla luce: canta:
I nostri antichi padri,
econome persone,
giravano la notte
col lume del tizzone.
E poi per la necessità dell’acqua così si esprime:
E non si dissetarono
dell’acqua
che ci stava?
senza cercarla in Ancri
perciò non si campava?
Sono storiche le espressioni, e fanno il paio con quelle pronunziate nel Cons. Com. di Penne da Massimo Pernotti quando si oppose alla spesa per la scuola, per la carità. Io lo redarguì; fui applaudito allora: ma più tardi io non fui rieletto, egli lo fu perché l’elettore non dispone della di lui volontà.
Il Di Francesco intanto domanda a Giovanni Bozza di un giornale e costui gentilmente glielo porge.
Intanto parlano Paolino Colaiezzi, il Comm. De Leone, il Prefetto, l’ing. Ducati, molto applauditi, perché dove parla il cuore e tace la ufficialità le cose corrono meglio, e sono più gustate. Commosse l’Ing. Ducati quando rammentò le benemerenze del dott. Candelori. L’On. Tinozzi bacia il Sindaco di Castiglione e dice a lui: Salutami di cuore il tuo fratello il mio compagno di studi Michele. La pace così è fatta. Ma le nuvole si addensano le mense si levano, la stampa tace, diversi somari ragliano maledettamente, la musica suona a perdifiato e tutti si preparano per il ritorno. Una donna Filomena Lombardi che ha la banderuola sul tuppo dei capelli di colore bruno chiaro, si fa innanzi al Prefetto e dice: Arvulemo la chiesa, la chiesa: Ed intanto che tutto è in ordine Carpani spiega la possibilità di una rotabile Farindola-Montebello-Vitello Ancri.
Sento due voci a ripetere:
Dal primiero suo colore – si chiamava Montefiore
Quando poscia si sfiorò – Monte secco si nomò.
Sono Giustino Misantoni di Montefino e Savini Florindo di Castilenti che dicono . . . . dei loro luoghi.
I sanitari Marcheggiani e Santuccioni alla loro volta mi domandano: E’ vero che in Penne c’è la penuria dei cavalieri?
- Veramente si.
E l’ottimo Cav. Cassini: Ispirati poeta dinanzi a tante delle cose, tu che hai dell’ingegno così facile.
-Troppo buono, Cavaliere.
Il Prefetto si appressa nella galleria della sorgente più voluminosa (125 per ogni secondo) per entrarvi. Lo sconsigliamo:
Prefetto mio Prefetto,
troppo v’introducete;
il freddo vi danneggia
domani tossirete.
Mentre i tre bassi profondi,Dall’ara, Rossi e Pugliesi ripetono:
domani tossirete.
Il Prefetto con uno slancio giovanile canta prima di entrare nella galleria della sorgente:
Grazie a tutti, ma io sento
dentro al seno un gran calor,
e perciò sfido il cimento
di entrar nel trafor.
Sono belli questi momenti
adornati dallo allor,
sono terse queste fonti,
pure come il primo amor.
Bello è qui quanto vedete,
bello il cielo, il verde il fior . . .
L’interruppe lo Scurti dicendo così:
Tersa è l’acqua, bello è il fior,
ma la pioggia si prepara,
Caro mio Commendator . . .
Applausi.
A canzoni finite riesce il Prefetto dalla galleria roseo ed allegro e dice:
Sono provato al freddo ed al calor,
sono provato alla calunnia vile,
sono provato al gaudio ed al dolor.
L’on. Tinozzi, il Cav. Cassini, il Comm. De Leone tutti i gitanti sono contenti d’essere venuti dove hanno veduto, quanto natura può e il genio bacia. Molti di Farindola che hanno pure consumata la colazione che si portarono, seguono l’esempio; ma il Prefetto vuole vedere la Vitella. L’ottimo Surzi di Castellamare ed il Dall’ara si mostrano lieti, ed in poco tempo eccoci alla Vitella che fu la sorgente che alimentò l’antico storico acquedotto Romano. Il Prefetto entra nella grotta, tutto osserva e pende dalla magnifica parola del Dall’ara.
E dopo una rapida discesa eccoci nella mirabile officina elettrica. Ha semplice le linee, ha quanto è necessario per quanto fa bisogno alla sua produzione. Entriamo, le macchine sono in movimento un rumore assordante. Con tutta una grande signorilità sono ricevuti dal capo movimento Ferdinando Ferri, e dal direttore della gabina di Penne Fascinati Adelmo.
Il prefetto che conserva delle spighe di ginestre che profumano la contrada di Fiano dice: Lassù, a poco dal colle di Fiano si dividono le 3 arterie: Penne, Castellamare, Atri. Guardiamo e scopriamo la camera di carico. Scopriamo l’erta discesa che ci portò nella officina; ed avendo io domandato: chi migliorò le vie che conducono al mortaio?
Mi sento a rispondere: l’impresa Serantoni. Certo non fu Vibo Ammazzalorso che mi riferì la generosa notizia, pur essendo costui a me caro ed egregio amico, e molto stimato dai Serantoni che lo tengono al lavoro.
Entriamo in una breve sala che sta nell’Officina e troviamo le vaghe ragazze che ammirammo nel Municipio; ci servono i liquori, le paste, delle bibite all’acqua della Vitella, del caffè, sigari e sigarette. Le sigarette sono le più desiderate . . . Del resto ce ne sono a dovizia. Moltissime persone stazionano fuori dell’officina per godersi la musica. Un villano grida: Viva l’America ed il Re, un altro grida: Viva alla guerra e benedico il mio figlio che sta soldato in Tripoli; ed altre voci, ed altri applausi, spontanei, spontanei. Il prefetto è pienamente informato dall’Ing. Dall’ara al quale finisce per dire: Serberò grata memoria, egregio Ingegnere, e delle cortesie e delle vostre personali attenzioni e spiegazioni.
Il notar Gattucci a me rammenta i bei tempi che furono e non sa staccare i suoi occhi dalle modeste donne che graziosamente offrono e di tutto cuore. Il Cav. Costantino Serantoni, il più simpatico uomo da me incontrato che la presente ricchezza deve tutto al suo lavoro costante ed onesto, gioisce molto per quanto oggi si verificò d’intorno a lui. Il letterato cav. Tommaso Sorricchio parla con il Dott. Santini nei riguardi degli ultimi avvenimenti sociali, mentre il molto serio avv. Landerset non può perdere la visione delle fate Farindolesi che offrono con tanta grazia. Il Cav. Renato De Sanctis mi dice: Io sono Pennese; - Ti ho veduto di nascere. Si risale in Farindola. Al Prefetto al Deputato chiedono la riedificazione del tempio, i muraglioni, mentre Olga Carusi ed Antonina Falconetti fanno un presente di fiori al Prefetto ed al Deputato: E proprio in questo momento io sento a dire da Raffaele Verrocchio di Castellamare A. e da Raffaele Cappucci: Ing. Rossi voi in Farindola siete recapitato? – nella magnifica locanda di Gennaro Caruisi? Che trattamento, che nettezza, che abbondanza di cibi, che buon mercato; ci passerei tutta la mia vita ! ! ! – Il Sindaco di Penne e quello di Farindola si scambiano diverse idee che Quirico di Nino, l’eterno assessore, vorrebbe apprendere, l’arciprete Colaiezzi, il sacerdote Carnevali si raccomandano essi pure per il tempio, all’On. Tinozzi, le donne mostrano i figli ammalati, ma l’On. Dice: Avete il vostro bravo dott. De Vico Raffaele, il cui padre fraternamente amai è morto così presto.
Un momento solenne si verifica; la banda suona e Dio la benedica, i gitanti prendono diversi erti sentieri; il Cav. Sabucchi lustrando le sue lenti d’oro e toccandosi il suo mento raso va ripetendo:
Verdi piani e verdi monti
vi ho veduti e son contento,
perché in voi tutto io sento
quel che attrae quel che piace,
il silenzio che dà pace.
L’ing. Caracciolo sempre pensoso sussurra timidamente questi versi:
Quando ti vidi – la prima volta
dissi: sorridi - a questo cuor
verde che vivi – eterno e gaio
come il ricordo – del primo amor.
E sorridesti – come la mamma
che sa offrirti – un bacio, un fior.
Fu giocoforza – che ti lasciassi,
quel di fu triste – lo sento ancor.
Non
manca la canzone dell’avv. Ghiotti che suona così:
E’ la parola di Atene:
questa: Senza transazione,
verso il male, verso il bene,
Non mutar di opinione.
L’amico Quirico di Nino, toccando il suo pizzo favorito e mi dice: Chi non muta non pensa. Ha imitato Enrico Ferri.
- Per una volta?
- Vorresti dire ?
- Che sei buono;
- E tu non canti per ingannar la strada che attraversiamo?
Cara fanciulla io sempre – ti sogno e ti sorrido.
Per questa mia innocente volata giovanile (conto 53 anni, ma il poeta è sempre giovane) mi vorrebbero divorare con lo sguardo Gaudenzio Colaiezzi il padre del Sindaco, un temperamento tranquillo, il mio genero, un galantuomo a tutta prova: Ferdinando Ferri e Sora Vittoria la dolce metà di Gennaro Carusi, mentre il roseo Suzzi ed il pensoso Misantoni mi stringono al proprio seno, mi baciano per diverse volte, mi dicono: Tristo l’uomo in cui nulla rimanga del fanciullo; e tu sei tutto un fanciullo.
-Ditemi che sono un disgraziato!
L’avvocato Mariani sorride malanconicamente.
E proprio alle 5 ½ della sera del 17-6 tutti in Penne.
E saputo del banchetto per osservare entro nell’antisala dove questo si celebrava. Mi appare dinanzi la lunga e bionda persona di Don Pasqualino De Leone, il V.S. del comune che mi dice:
La tessera
- Sono venuto per osservare soltanto le mense ed altro, e riferire al Corriere di Abruzzo.
- Non potete entrare.
-Ma che cosa dite; questa è inurbanità.
-Sia, ma ho detto; e punirò le guardie che non hanno eseguito i miei ordini, cioè di non fare avvicinare nessuno nella porta dell’asili d’infanzia. ¨)
Io guardai quel giovinotto che si regolava così male, e non gli dissi altro per non turbare la festa. Risaputosi l’incidente, fu la condotta dell’incauto severamente giudicata. Seppi del banchetto : 45 coperti a male appena, 3 svenimenti palesi, 18 discorsi. Una freddezza impressionante, e Don Pasqualino che mangiò la sua porzione e quella che poteva toccare alla stampa.
Ecco spiegato, io dissi agli amici, il suo zelo inconsulto, il suo sdegno ridicolo.
Sentii ripetere da Fascinati questa grande verità che non posso tacere:
L’inventor del matrimonio
certamente fu il demonio
per più premere la mano
sopra il genere umano.
¨ Oggi Cav. Tucci con il gradimento generale (nota dell’A.)
¨ E fece rapporto: ma . . . . ( nota dell’A.)
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Ci piace riportare per intero il discorso letto con anima, con franchezza da Sindaco di Farindola Paolino Colaiezzi nel banchetto celebrato sul Mortaio di Ancri, presente il Comm. Bonomi ed altre ragguardevoli persone. E questo perché rimanga ai futuri.
Conscio della sollenità del momento e con animo vibrante del più elevato sentimento di gioia e di orgoglio, a voi benemerito ed illustre capo della Provincia, a voi benamente Rappresentante Politico del nostro collegio, a voi tutti, autorità ed insigni cittadini intervenuti a questa utile e piacevole escursione per renderla maggiormente solenne con la vostra presenza, rivolgo il mio caldo e riverente saluto, anche a nome della cittadinanza che mi onoro rappresentare. Ed insieme al doveroso saluto vadano a voi le più sentite azioni di grazie per l’onore tributato in questo lieto giorno alla nostra civica rappresentanza, di cui vi esprimo tutta la nostra piena soddisfazione, tutta la gratitudine vivissima per l’indimenticabile ricordo, che conserveremo imperituro e costante . . .
Le ricchezze e le bellezze naturali che formano nella generalità il patrimonio delle nostre terre abruzzesi, ed in special modo le sorgenti di acque pure e fresche, che scaturiscono abbondanti dai nostri monti incantevoli che ci fanno corona offrirono a noi l’occasione gratissima di ospitarvi e di rendervi il nostro rispettoso omaggio. La illuminata iniziativa di coloro che compresero seriamente le nuove esigenze della civiltà e del progresso, fece si che questo inapprezzabile tesoro delle nostre acque, che per lunghi anni rimasero inoperosi ed impotenti, fossero destinate alla redenzione igienica di molti comuni della nostra provincia, per cui sorta l’idea dell’Acquedotto del Tavo il quale fra non molto possiamo vedere compiuto mercè la feconda attività del nostro amatissimo Prefetto, che diede una spinta poderosa a tale nobile iniziativa, assecondato mirabilmente dallo spirito di modernità dell’Egregio Presidente della Federazione Commendatore Saverio De Leone e della meravigliosa e tenace cooperazione di altri uomini i quali, consci dei crescenti bisogni della vita moderna, nulla hanno trascurato per arrivare nel minor tempo possibile verso quel segnacolo radioso, in cui campeggia il trionfo di un’opera di alto interesse igienico per la nostra regione, che oggi con infinita compiacenza ammiriamo . . . E fra questi uomini, mi è grato ricordare le simpatica figura del valoroso Dottor Candelori, il quale fu il primo a proporre tanto risveglio nel nostro Abruzzo forte e gentile, e che per lungo periodo di tempo con ammirevole e rara perseveranza, dedicò tutte le sue forze intellettuali ed anche economiche per il conseguimento di quell’ideale che tra poco vedrà realizzato. Immagino in quest’ora di gaudio il suo dispiacere di non poter essere qui fra noi per la sua malferma salute che gli troncò in momenti così importanti il sogno più bello della sua vita operosa ed attiva. Ed anche a lui vada il nostro saluto affettuoso e l’augurio fervido che egli possa alfine raccogliere il desiato frutto dei suoi lunghi studii, dei suoi sacrifici personali. . . . .
Il mio modesto paesello, a cui mi sento legato da sentimenti di verace affetto; risentirà non pochi vantaggi per questa impresa grandiosa, che segna lo avanzamento e la gloria delle nostre ubertose provincie abruzzesi, le quali al soffio della rinascenza gareggiarono nelle scienze, nelle lettere e nelle arti coi popoli più civili e diedero al pari delle altre regioni italiche il loro largo contingente di lavoro e di sangue per l’indipendenza della nostra patria, che dà in questo momento si mirabile spettacolo di salvezza morale e civile . . . . .
E qui trovo opportuno e doveroso ricordare l’eroismo dei bravi soldati del nostro valoroso esercito e dell’invitta marina che attualmente combattono in Libia, degli nipoti militi gloriosi delle romane legioni, ai quali invio il saluto del cuore e l’augurio di sempre nuove conquiste per la grandezza della nostra nazione e del nostro Re! . . .
Sento più che mai il rammarico di non poter esprimere con pochezza del mio pensiero tutta la riconoscenza che sentiamo profonda nell’animo verso i benemeriti promotori di questa mirabile impresa dell’Acquedotto del Tavo, che tutti ci auguriamo di vedere presto un fatto compiuto, fidando pienamente sulla indiscussa competenza ed attività della Ditta assuntrice dei lavori Cavalier Serantoni, cui mi piace tributare la più ampia e meritata lode . . . Eguale gratitudine ci lega agli egregi componenti i singoli Consorzi, che con tanta abnegazione seppero patrocinare una causa così importante il cui compimento rimarrà attraverso i secoli esempio d’imperituro ai nostri posteri della vigoria del nostro genio per le nuove conquiste agognanti al perfezionamento di tutti i popoli . . . E da ultimo compito il dovere di ringraziare distintamente anche i fautori di questa riunione di eccezionale importanza che offre l’ambita occasione di raccomandare vivamente al nostro distintissimo Prefetto quelle pratiche da tempo iniziate dal nostro comune per condurre a termine altre opere di assoluta necessità, che dovranno sempre più spronarci sulla via del progresso.
Formando i migliori voti per la felicità e prosperità di tutti i comuni che usufruiranno fra non loto delle nostre sorgenti vivificatrici vi invito a levare i bicchieri in onore del nostro insigne prefetto commendatore Bonomo ed a bere alla sua salute e della sua gentile famiglia.
Evviva il Prefetto di Teramo!
Il Comm. Bonomi tornato appena in residenza con un telegramma diretto al Sindaco di Penne ringraziò per le liete accoglienze qui raccolte; eguale ringraziamento indirizzò al Sindaco di Farindola, che ripetiamo, fece splendidamente gli onori di casa con il suo popolo generoso.
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DELLO
STESSO AUTORE
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Primi Versi – Patria – Ricordi – Sorrisi e lacrime – Marinella – Municipalia – Patria – Un Angiolo – Ora tragica – Prete buono – Profili (in tre opuscoli) Vita Vissuta _ (in tre opuscoli) – Le Spa – Cuore di padre – Racconti passionali – Dal vero – Onore al merito – intermezzi – La madre – Le mie celie – Farindola.
IN
PREPARAZIONE
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Elezioni – La donna eroina – Dure catene – Alla ricerca della paternità – In alto – Vittima – ecc.
1.Cretara,
Stanislao
Marinella
ovvero Una pagina del mio passato / Stanislao Cretara Loreto Aprutino : Tip. del Lauro, 1907 |
2.Cretara,
Stanislao
Tornato
dalla trincea : dramma in un atto ; Ricordi di madre : dramma in un atto /
Stanislao Cretara (Dinamo) Roma : Unione Arti Grafiche Abruzzesi, 1921 |
3.Cretara,
Stanislao
Dopo
la lotta amministrativa : [versi] Teramo : Tip. Del Lauro, 1914 |
4.Cretara,
Stanislao
Esercito
e popolo : Bozzetto in un atto Loreto Aprutino : Tip. Del Lauro, 1912 |
5.Cretara,
Stanislao
Fiammette
elettorali, una nuova tassa : [versi] Napoli : Tip. F. Giannini e Figli, 1914 |
6.Cretara,
Stanislao
Tre
passionali racconti Teramo : Tip. Del Corriere, 1908 |
7.Cretara,
Stanislao
Note
di una vita vissuta Loreto Aprutino : Tip. Del Lauro, 1911 |
8.Cretara,
Stanislao
Ricordi
e speranze : [versi] Teramo : Tip. Del Corriere Abruzzese, 1893 |
9.Cretara,
Stanislao
Il
nuovo basolato : [versi] Teramo : Tip. Del Lauro, 1914 |
10.Cretara,
Stanislao
Ricordi
giovanili / Stanislao Cretara (Dinamo) Teramo : Stab. Tip. del Centrale, 1904 |
11.Cretara,
Stanislao
La
mia conferenza : Viva il lavoro] Teramo : Tip. Appignani, 1913 |
12.Cretara,
Stanislao
Farindola
nella sua leggenda di ieri, nella sua realta di oggi, nel suo Magnifico
divenire Teramo : Tip. Appignani, 1912 |
13.Cretara,
Stanislao
L'
anima popolare : Poche parole del cittadino Stanislao cretara, Come
ricordo, Come riassunto delle altre osservazioni Sue sopra temi patrii e
sopra temi educativi Teramo : Tip. Appignani, 1913 |
14.Cretara,
Stanislao
La
caduta di Don Tito dal Consiglio provinciale : [versi] Teramo : Tip. Del Lauro, 1914 |
15.Cretara,
Stanislao
Cuor
di padre : bozzetto drammatico / Stanislao Cretara (Dinamo) Citta S. Angelo, 1906 |
16.Cretara,
Stanislao
Cose
pennesi : Penne, 17 agosto 1905 / Stanislao Cretara Citta Sant'angelo : Tip. Vita Abruzzese, 1905 |